Grande serie tv che riesce ad analizzare gli aspetti drammatici di una famiglia disfunzionale con una straordinaria lucidità
Six Feet Under è la morte vista come metafora di tutto ciò che può accadere nella vita.
La morte che circonda ogni attimo di esistenza di una famiglia decisamente disfunzionale ma che non si trova che ad affrontare situazioni che possono toccare ogni famiglia normale.
Se nella prima stagione la strada intrapresa è quella del mix tra black comedy e drama, col passare del tempo il creatore Alan Ball tralascia completamente il primo genere e punta del tutto sul dramma, ma usandolo in modo lucido. Senza mai cadere nel melodramma e nel pietismo. Non mancano i momenti toccanti e forti, ma tutto è gestito con un gran tatto.
E' una serie che procede continuamente a ritmo compassato, lasciando da parte ogni genere di spettacolarizzazione gratuita e non avendo bisogno di cambi di passo per intrattenere e portare lo spettatore ad appassionarsi. E' la scrittura a fare la differenza. Una scrittura che sa analizzare con tatto estremo non solo il tema della morte, ma anche tutti gli altri che arrivano trasversali: il dolore, la depressione, ma anche il riconoscere la propria identità sessuale e la propria omosessualità, la crescita adolescenziale tra cattive amicizie e droghe, le compulsività.
Il mezzo del dialogo con i cadaveri altro non è che il rigurgito dell'inconscio, coi vari personaggi che così si ritrovano ad affrontare frustrazioni, paure o pulsioni che vorrebbero reprimere.
Quasi ognuna delle 63 puntate che compongono le cinque stagioni inizia con una morte, che nel 99% porta lavoro alla famiglia protagonista, proprietaria di un'agenzia funebre. Ben presto però la routine dell'agenzia in sé (pur con i Fisher che devono affrontare la concorrenza o i cambi di gestione) passa in secondo piano, perché è l'evoluzione dei personaggi a interessare ad Alan Ball.
Iniziando da Nate, il "cavallo di ritorno" che si ritrova (suo malgrado) di nuovo inglobato nella casa in cui era cresciuto e a gestire l'agenzia familiare visto che nella prima puntata il padre viene a mancare per un incidente stradale. Il personaggio interpretato dal buon Peter Krause (sicuramente al ruolo migliore della carriera) ha forse il percorso più impervio nel corso delle stagioni, con l'attore del Minnesota bravo a mantenere un'aria stralunata ma non banale.
Chiave è il personaggio di David, rimasto con la famiglia a gestire l'azienda e (inizialmente all'insaputa della famiglia) omosessuale, interpretato in maniera superba da un grande attore a livello televisivo come Michael C. Hall, che seguirà il successo di questa serie con il ruolo di protagonista in Dexter (quindi sostanzialmente nelle serie tv è stato in entrambi i lati del decesso).
Se personale e fragile è la visione del dramma della madre Ruth (Frances Conroy), a crescere come un diesel nel corso delle varie stagioni e ad avere un bel percorso di personalità è il personaggio della sorella minore Claire, interpretato in maniera superba da Lauren Ambrose: sorprende che questa attrice sia parecchio sparita dai radar dopo questa serie.
Ma nella ottima coralità della serie non sono secondari i personaggi dell'ispanico partner nell'azienda, della compagna di Nate e del di lei fratello con problemi psichiatrici, per una serie profonda e importante nella complessità di scrittura.
La qualità delle stagioni è costante e alta e inoltre (a differenza di tante serie tv) la chiusura è davvero strepitosa, con una meravigliosa sequenza (senza anticiparne i temi ovviamente) di sei minuti di pura classe: sei minuti in riferimenti al Six del titolo, ovviamente.
Voto 8,5
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