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mercoledì 13 maggio 2020

The Good Place: una bella incompiuta

L'idea sulla carta è ottima, ma la serie non sfrutta appieno il proprio potenziale, non trovando mai l'acuto vincente e/o entusiasmante


De gustibus non disputandum est. The Good Place ai miei occhi entra nella categoria di quelle serie acclamate ben oltre i propri reali meriti: certo, non sarà un'acclamazione per me del tutto misteriosa come può essere quella per una serie come Stranger Things (scritta coi piedi e arruffata malamente, eppure lodata dai più), perché The Good Place ha buone cose dentro di sé e un'intelligenza di fondo che fa da contraltare a serie sfacciatamente idiote come la succitata, ma resta una sopravvalutazione evidente per una serie con limiti intrinsechi e mai realmente coinvolgente.

L'idea di partenza è decisamente buona, un modo nuovo di vedere l'oltrevita con questa riproposizione abbastanza fresca di "parte buona" e "parte cattiva", con le prime puntate che promettono tanto e che divertono parecchio, ma poi la costante di questa serie è il ristagnare compiaciuta su sé stessa, senza mai fare un reale salto di qualità, quasi come ci fosse sotto sotto una certa timidezza nello script, una paura nell'intraprendere con decisione una via piuttosto che un'altra.
In sostanza, è una serie che difficilmente farà venire a qualcuno (ripetendo il "de gustibus...") la voglia di lasciar perdere e abbandonare la visione, ma c'è anche un senso di ripetitività che si ha puntualmente nel corso di ognuna delle quattro stagioni, quando le situazioni risultano un po' troppo uguali a sé stesse e portano a delle puntate centrali di interesse non esaltante (specialmente nella seconda stagione con tutti i "riavvii" che portano a diverse puntate completamente dimenticabili e in generale alla stagione di livello inferiore della serie), segno di un plot non proprio impeccabile.
Anche sul piano umoristico le premesse iniziali non sono rispettate, tanto che alla lunga l'humor dovrebbe arrivare con le continue citazioni pop (Beyonce e Blake Bortles per dire sono nominati allo sfinimento, tanto che a un certo punto puoi benissimo anticipare quando verrà fatto il nome di uno di loro), cosa che poteva funzionare con una migliore qualità nella scrittura, così come la brillante idea delle parolacce che non possono essere pronunciate (portando quindi a espressioni come "e che casco!") alla lunga finisce per spegnere il proprio impatto.
Si ha quindi in sostanza un prodotto sicuramente garbato, con una discreta tecnica e una scenografia brillante (ben sfruttata anche da una fotografia accesa) ma che purtroppo non riesce a sfruttare appieno la propria potenzialità.

Alti e bassi anche per quanto riguarda la gestione e lo sviluppo dei personaggi principali. Il volto principale è quello di Kristen Bell, che probabilmente trova in Eleanor il modo per esprimersi al suo meglio, mettendo in mostra un'energia notevole e anche una buona simpatia (soprattutto all'inizio della serie quando risulta anche parecchio divertente nel tentativo di nascondere la propria "intrusione" nella parte buona), anche se probabilmente le parti più interessanti sono quelle che coinvolgono William Jackson Harper, con il suo Chidi che risulta il personaggio migliore, più profondo e quasi sempre al centro delle situazioni migliori.
Detto di un Ted Dawson buono nelle parti seriose ma non del tutto adeguato quando prova a rendere simpatico il proprio Michael e della buona idea della Janet che appare in continuazione ad aiutare i protagonisti ogni volta che viene pronunciato il suo nome, essendo una interfaccia tecnologica ma con sembianze umane, con uno sviluppo del personaggio forse funzionale ma non esaltante (meno brillante invece l'idea delle varie versioni delle Janet), probabilmente un lavoro migliore di scrittura e forse anche di casting andava fatto sugli altri due personaggi ricorrenti.
Il Jason di Manny Jacinto è un personaggio troppo vuoto e troppo stupido per una serie che vorrebbe essere intelligente, soprattutto per il fatto che faccia ridere piuttosto raramente. Mentre la Tahani di Jameela Jamil è un bel faccino che risulta anche uno dei pochi veri e grandi punti deboli della serie, con la pessima idea di farla parlare con un fastidioso finto accento inglese e continue citazioni pop che la portano a risultare sfiancante e poco interessante: probabilmente ci voleva un'attrice di levatura diversa per dare una caratterizzazione meno insulsa al personaggio.

Lo sviluppo della serie quindi resta interessante anche se alcune fasi (specialmente nella seconda stagione) risultano eccessivamente ingarbugliate nella scrittura, ma The Good Place non trova mai un acuto che sorprende o entusiasma, un concetto che viene accentuato nella puntata di chiusura della serie, allungata a quasi un'ora (le altre puntate sono tutte sulla ventina di minuti) per poi dare alla storia una chiusa sicuramente funzionale ma ben lontano dall'essere entusiasmante o indimenticabile (anzi la durata eccessiva di questa puntata alla fine stanca un po').
Peccato, perché le potenzialità per fare di meglio c'erano tutte.

Voto: 6-

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