La scelta disastrosa di Timothée Chalamet come protagonista appesantisce un film certamente non brutto, ma comunque da considerare minore nella eccellente filmografia di Woody Allen.
Il tanto atteso e altrettanto tribolato (e checché se ne dica nella
Nazione che tutto perdona, tutto dimentica e tutto abbuona come la
nostra, le motivazioni c'erano tutte per una vicenda inquietante, ancora
troppo nebulosa e impossibile da dimenticare anche dopo tutti questi
anni, questo genere di accuse non possono mai andare in prescrizione
nella memoria generale e a dirlo è un alleniano come il sottoscritto)
"Un giorno di pioggia a New York" ci propone un Woody Allen minore e non
particolarmente ispirato, in un film che regala comunque 90 minuti
leggeri per il solito mestiere di un artista che sa ancora dirigere e
scrivere come pochi, ma per un film che allo stesso tempo difficilmente
verrà ricordato tra qualche anno.
Non è certo un film brutto come Vicky Cristina Barcelona e To Rome With Love
(i due grossi passi falsi della filmografia alleniana che ormai si
approssima al cinquantesimo film), ma è uno di quei film che scorrendo i
titoli delle produzioni alleniane ti farà dire "ah, ma ha fatto anche
questo?".
I punti di forza sono la bravura registica del
vecchio Woody, che riesce a scrivere come sempre dei dialoghi ben al di
sopra della media (anche se su questo c'è qualcosa da dire più avanti) e
creare quell'atmosfera inimitabile, dovuta al mix tra le solite musiche
jazzate e il forte impatto visivo, ancora più forte quando
l'ambientazione è quella newyorchese tanto cara ad Allen. Questo basta a
far scorrere velocemente i 90 minuti senza mai annoiare, ma le
avventure dei due protagonisti nella magnifica New York piovosa non sono
certo memorabili, sono incapaci di appassionare e di lasciare il segno.
Specialmente le vicende di Gatsby senza i dialoghi ricercati degni di
Woody Allen sembrerebbero quelle di una mediocre serie tv
adolescenziale.
Oltretutto non convince il casting
maschile del film. La popolarità che ha Leiv Schreiber per me è un
totale mistero: in sostanza questo attore sa fare unicamente
l'espressione un po' da cane bastonato tipica di Ray Donovan
e quella soltanto, il che può andare bene (in parte) in quella serie tv
che gli calza a pennello, ma qua ci si accorge di una totale mancanza
di alternative. Insomma, la sensazione che hai è che Ray Donovan sia
finito a fare il regista, nulla più.
Ruolo difficilissimo nei film
di Allen in cui il regista non è presente da attore (ormai per ovvie
ragione, la quasi totalità) è quello del protagonista maschile, perché
viene facile ripensare a certe pellicole memorabili e a paragonare la
presenza principale con quella storica di Woody Allen. Un ruolo
difficilissimo che sulle spalle dell'imberbe Timothée Chalamet
pesa come un macigno: vedere certe frasi e certe citazioni in bocca a
Chalamet sembrano davvero poco credibili. Chalamet non regge la scena
quando deve tirare fuori quelle due-tre frasi sarcastiche "a la Woody
Allen" e annaspa senza meta, senza sapere cosa fare in un ruolo che
proprio gli sta troppo largo. E la scelta disastrosa dell'attore
protagonista è una delle peggiori piaghe del film.
Per
quanto (giustamente, ripeto senza voler creare fraintendimenti, visto
che le accuse non sono mai state cancellate in maniera chiara, anzi sono
rispuntate in maniera pesantissima con la forte e toccante intervista
di Dylan Farrow alla CBS: davvero mi sconcerta leggere in questi giorni
certe assurdità in riviste e siti di queste latitudini) lui sia visto
ora come un cancro dalle correnti femministe americane, Allen invece
difficilmente sbaglia il casting delle attrici femminili, anzi riesce
sempre a creare ruoli importanti per loro e a esaltarle: senza voler
tornare a nomi storici come quelli di Diane Keaton e Mia Farrow per un
paragone impossibile da reggere, il pensiero va alle varie Scarlett
Johansson, Helen Hunt o Mira Sorvino di turno, viene difficile ricordare
delle protagoniste femminili non esaltanti nelle pellicole del
newyorchese. E il bersaglio è ancora centrato pur puntando su un'attrice
molto giovane come Elle Fanning, che regge splendidamente la scena e
(pur in un personaggio costretto a girovagare tra registi, sceneggiatori
e attori senza un reale colpo di coda notevole) riesce a dare un tocco
elegante alla propria recitazione.
A stupire più di tutti però è
la presenza di Selena Gomez, il cui personaggio deve punzecchiare il
protagonista Gatsby con delle battute abbastanza cattive: non diresti
mai che un ex volto della Disney possa essere credibile nel recitare
battute simili, eppure invece la Gomez sorprende per credibilità e
riesce a far sorridere (cosa che invece Chalamet non riesce mai a fare
nelle battutine tipiche alleniane).
Infine, pur
apprezzando la solita regia (magari non indimenticabile come in altre
pellicole, ma comunque efficace e professionale), stupisce dover vedere
un errore tecnico marchiano da uno che invece sul piano tecnico è
ricercatissimo come Woody Allen. Il mio riferimento è alla scena del
taxi, in cui i capelli bagnati di Selena Gomez cambiano pettinatura a
ogni inquadratura, una roba grossolana che si ripete una quarantina di
volte (tanto che addirittura i capelli bagnati diventano asciutti, poi
di nuovo bagnati, poi cadono in modo diverso sull'orecchio, tutto senza
una logica). Un errore sconcertante davvero clamoroso e che
probabilmente nell'intera filmografia alleniana si era visto soltanto
nel già citato To Rome With Love.
Insomma, la pioggia del
titolo ha avuto anche un po' l'effetto di bagnare le polveri di Woody
Allen. Nonostante tutto, un film non sufficiente ma che è impossibile
stroncare completamente: evidentemente Allen riesce a salvare anche
delle pellicole poco ispirate come questa.
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