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venerdì 4 settembre 2020

Perdiamoci di vista: un grande film da rivalutare

Il film di Verdone più sottovalutato: riesce a essere sia pungente che sensibile, sceglie come spalla una Asia Argento clamorosa (mai più vista a questi livelli) e regala un film che scorre senza vere e proprie lacune, riuscendo a trovare gli sbocchi per far sorridere ma anche riuscendo a essere amaro e riflessivo in maniera decisamente convincente


Alcuni film del Verdone degli anni '90 ottengono un giudizio un po' più alto di quanto meriterebbero, per la pulizia della scrittura e la capacità dell'autore romano di distinguersi sempre e comunque in un panorama della commedia italiana che contemporaneamente andava in declino (e di conseguenza in crisi nerissima).
"Perdiamoci di vista" invece è un caso particolare, visto che un po' ovunque il giudizio è smorzato, appena sufficiente, rendendolo palesemente il film di Verdone più sottovalutato: perché in realtà è uno dei suoi migliori film in assoluto.

In quest'opera infatti viene raggiunta una scrittura completa senza momenti di cedimento che probabilmente Verdone non raggiungeva più dai tempi di Compagni di Scuola, per un film che scorre benissimo con dei picchi ma senza alcuna caduta. Come se non bastasse, viene centrato un mix di emozioni non indifferente, che quasi sarebbe da ricollocare all'interno della migliore tradizione della commedia all'italiana: sì, perché in "Perdiamoci di vista" ci sono momenti in cui si sorride, in un quadro generale molto amaro e riflessivo, trovando una sensibilità di scrittura non indifferente.
Come se non bastasse, Verdone non sempre (specialmente nei film successivi) è riuscito a trovare una spalla femminile all'altezza in grado di esprimere al meglio le sue idee per quel determinato film: qui si affianca ad Asia Argento, la quale con la sua interpretazione non fa che confermare quanto di buono ci sia in questo film. Sì, perché la figlia di Dario (che sul set sarebbe diventata maggiorenne) interpreta il personaggio della paraplegica con una sensibilità e una emotività splendida: vedendola qui si penserebbe agli albori di una grande attrice, purtroppo invece Asia non si avvicinerà mai più a questo livello recitativo e se la si vede così convincente e così emozionante ha tanti meriti lei in prima persona, ma evidentemente devono esserci dei meriti enormi da parte di chi ha diretto questo film.

Personalmente di questo film mi piace tutto, ogni sfaccettatura. All'inizio Verdone è eccellente nei panni del cinico e squallido conduttore della tv del dolore che senza vergogna ruba e manda in onda le immagini di una ragazza morta suicida, poi inizia via via a sensibilizzarsi nel rapporto ad alti e bassi (ma meno repentini e meno irreali del solito) con il personaggio di Asia Argento, mostrando un tatto notevole: perché il film riesce a essere a suo modo commovente, evitando in ogni modo la strada della facile lacrimuccia melodrammatica.
E sono azzeccati anche tutti i personaggi di contorno, tra cui va ovviamente sottolineato Aldo Maccione, che propone a Verdone un programma squallidissimo dal titolo "Galline da combattimento", in cui spadroneggia l'ospite Angelo Bernabucci ("Aho che m'hai preso per Zoro?"): scena incredibile perché nel suo tentativo di esagerazione surreale, Verdone ha sostanzialmente anticipato la tv trash di questi tempi andando clamorosamente vicino ai toni e al linguaggio orripilante che ammorbano troppe trasmissioni Mediaset, Rai e di ogni altro canale tv.
Infine, cosa che non sempre accade nei lavori del Verdone maturo, in questo film sono evitate tutte le possibili parentesi futili, scorrendo così senza lacune.

Per questo, andando probabilmente controtendenza, per me questo è uno dei migliori film di Verdone.
Voto: 9

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