Congeniato alla perfezione e senza reali difetti, Parasite è un film che merita il successo ottenuto.
Chi conosce un minimo la mentalità americana sa bene che per loro ciò che avviene oltre i loro confini (a meno che sia qualcosa che può arricchire le loro tasche) non esiste, non è importante e non è degna di considerazione, per la loro megalomania gli Stati Uniti rappresentano l'intero mondo. E' un discorso che vale in tutti i campi, dall'arte allo spettacolo, dalla politica al campo che personalmente conosco meglio, ovvero quello sportivo. Il basket? Per loro esiste solo la NBA e il college, il fatto che ci sia una lega di alto livello come l'Eurolega a loro non importa. E poi si sorprendono che arrivi un Luka Doncic a dominare (dopo che loro stessi, in modo tragicomico, gli imputavano come difetto il fatto di non aver giocato al college). Il baseball? Per loro esiste solo la MLB e il loro orticello, il fatto che ci siano leghe di altissimo livello come la Nippon League a loro non importa. E poi si sorprendono quando un Shohei Ohtani arriva e brilla come fosse niente sia a lanciare che a battere (dopo che loro lo descrivevano come battitore indegno persino della single A).
Per questo Parasite prima ancora di vederlo è un documento fondamentale, perché sfonda un muro epocale: il fatto che un film in lingua non inglese vinca l'Oscar come miglior film è una cosa clamorosa. Per cui, a parte che il tam tam su questa pellicola era già grosso prima della notte degli Oscar, Parasite è un film assolutamente da vedere anche solo per capire cosa ci fosse da piegare così il dna degli americani, cosa li ha potuti affascinare.
Si tratta di un capolavoro da far entrare nella storia del cinema? Su questo a livello personale non so mai giudicare, tanto che spesso i "miglior film" anno per anno a me non aggradano parecchio, con tutta onestà affermo con modestia che non ho la cultura cinematografica per esprimermi fino a questo punto. Ciò che posso dire con certezza è che ci si trova di fronte a un gran bel film, una visione assolutamente piacevole, 130 minuti di pellicola che scorrono benissimo.
A piacere molto è non solo la cura tecnica (eccellente la regia, splendida la fotografia), ma è soprattutto la capacità di cambiare registro più volte da un momento all'altro in modo naturale, senza alcuna pausa o senza alcuna forzatura, tanto da toccare via via più generi.
Si inizia come una commedia della disperazione (la famiglia Ki che vive nello scantinato), si entra poi nel meccanismo della truffa (la famiglia Ki che riesce a infiltrarsi nella villa da sogno), poi da un momento all'altro durante il campeggio dei Park tutto precipita, l'ingresso nel bunker (ripreso in maniera eccezionale) ha quasi una venatura horror, si entra nel pieno del thriller ma con un gusto sarcastico che ricorda la migliore black comedy. Tutto con un sostanziale retrogusto drammatico, che poi trionfa nel caos finale.
Tante volte il voler toccare così tanti tasti rende i film indigesti, perché non sempre c'è il gusto che ha Boon Jo Ho nel saperli gestire: in questo Parasite è assolutamente un film da vedere come punto di riferimento.
Apparentemente nulla è fuori posto, la vicenda intriga, appassiona e scorre benissimo. E le facce sembrano quelle giuste, su tutti mi hanno fatto impazzire le espressioni di Woo-sik Choi (il figlio dei Ki), ma anche un paio di smorfie facciali di Kang-ho Song (su tutte quando è in auto con alle spalle la ricca padrona di casa al telefono) diventano memorabili, mentre forse l'unico minimo difetto dell'intero film è il fatto che alla lunga la figlia dei Ki (che inizialmente è la fondamentale regina della falsificazione) finisca per eclissarsi un minimo prima dell'ambaradan finale.
La questione sulla critica sociale, che ho visto ripresa da tanti, per me lascia il tempo che trova. Più che un tentativo di satira sociale, io penso che Parasite voglia descriverci una semplice contrapposizione tra povero e ricco, che in questo senso riesce in pieno. D'altronde è proprio la forza del film quella di lasciarci dentro la situazione più crudele senza perdere tempo in moralismi non convinti.
Curiosità finale: suona piuttosto strano in un film coreano sentire dal vinile la voce di Gianni Morandi cantare "In ginocchio da te". Peraltro pare che il regista avesse scelto questa canzone solamente per il titolo, per il fatto che in contemporanea i protagonisti si trovavano inginocchiati nel salone, non sapendo assolutamente nulla del testo. Una sorpresa all'interno di un film che però lascia molto più di questo nella memoria.
Voto: 9
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