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martedì 27 ottobre 2020

The Fan. Il mito: rovinato dalla tendenza all'americanata

Film quanto mai frustrante. Parte bene, col mix tra drammaticità e racconto sportivo, ma poi quando si entra nella fase thriller diventa un'americanata con esagerazioni e forzature colossali. Finale totalmente irreale.

Difficile non provare frustrazione massima dopo aver visto un film del genere.
Anche perché le premesse erano davvero buone, con un inizio rapido e parecchio azzeccato, interessante nel mixare da una parte il dramma di una vita che cade a pezzi (per il "tifoso") e dall'altra in parallelo le difficoltà stagionali del campione sportivo (parte per una volta apprezzabile pure per il sottoscritto, che è patito in maniera maniacale di sport ma che rarissimamente apprezza la trasposizione dello sport al cinema o nelle serie tv). Oltretutto i due protagonisti regalano ottime prove, con Wesley Snipes molto in parte e Robert DeNiro che sembra tornare ai fasti di un Rupert Pupkin (nello splendido Re per una notte).
 
Poi però il tracollo di sceneggiatura e regia nella virata thriller è imbarazzante: il film diventa una di quelle porcherie che viene difficile non chiamare "americanate", piena di esagerazioni, accenni ridicoli (tutte le frasi sulla famiglia sono da buttare nella spazzatura) e forzature sfacciatamente poco credibili, per un finale che diventa completamente surreale, proprio perché lontanissimo dalla realtà.
Basti vedere la fase finale con la partita di baseball: evitando lo spoiler (ridicolo come DeNiro influisca nella partita), accenno soltanto (da grande fan della MLB) che San Francisco già di suo è una città non esattamente piovosa, in particolare lo è ancor meno nel corso della stagione del baseball, tanto che non sono molte le partite di baseball in quella città che hanno la rain delay (piuttosto lo stadio dei Giants di quei tempi, Candlestick Park, aveva il problema di essere parecchio esposto al vento), per cui già è assolutamente improbabile che una tempesta d'acqua di tali proporzioni si possa imbattere durante la partita in casa dei Giants, ancora più assurdo e improbabile (senonché impossibile) è che gli arbitri (a meno di un calendario forzatissimo) non sospendano la partita in queste condizioni di gioco, visto che il baseball sotto l'acqua non si può giocare (per quanto adesso abbiano una tolleranza maggiore, ma non fino a quel punto e questa tolleranza non c'era a metà anni '90 quando il film è stato prodotto). Ah, e in queste condizioni con il terreno completamente scivoloso, cosa fa il nostro campione? Tenta un inside-the-park home-run!!! La giocata forse atleticamente più difficile del baseball!! Ma mi faccino il piacere, mi faccino!!!
 
Ecco cosa è l' "americanata".
 
Peccato, perché il film era iniziato bene e gli attori meritavano di meglio. Ma queste robacce sono inaccettabili.
 
Voto: 4

giovedì 15 ottobre 2020

Un amore all'altezza: commedia con (paradossalmente) pochi bassi

Commedia romantica intelligente, capace di azzeccare un ottimo numero di gag e con un riuscito messaggio di fondo
 

Cosa pretendere di più da una commedia romantica senza millantate pretese autorali come questa se non la capacità di intrattenere con scene divertenti e magari il riuscire a inserire un messaggio costruttivo senza apparire eccessivamente moralisti?
Probabilmente nulla. E questi obiettivi sono centrati pienamente da Laurent Tirard, che riesce a inserirsi nello stile aggraziato tipico della commedia francese attuale, partendo forte già da un incipit piuttosto brillante e catturando subito l'interesse dello spettatore, pur con una storia e una trama che non va oltre i canoni standard della commedia romantica.
A fare la differenza, come sempre in un cinema attuale pressoché incapace di inventare cose nuove, è la messa in scena. I dialoghi sono perlopiù di buon livello e soprattutto a catturare è la simpatia dei due protagonisti, con la sempre affascinante Virginie Efira (per certi versi una specialista francese nel genere) e il rimpicciolito Jean Dujardin che hanno forte alchimia, che entrano bene nei personaggi e divertono, grazie anche a una sceneggiatura che riesce a inserire 4-5 gag non esattamente attinenti al politicamente corretto (tutte centrate sull'altezza minima del protagonista maschile, vedi la scena in cui la Efira va nel negozio di bambini per comprargli un pullover, oppure con l'ex marito della Efira che la denomina come "Biancaneve") che scatenano spesso e volentieri la risata.
 
E riesce anche la morale romantica di fondo: cosa è "normale", basta una caratteristica fisica a rendere strano un rapporto di coppia? Il modo con cui la questione è trattata è efficace: e chissà, magari anche un filmettino come questo può essere educativo e cambiare un minimo il pensiero di quel tipo di persona (mal)educata a vedere diversità altrui in tutto.
 
Un amore all'altezza non è certo quella pellicola che può farti urlare al miracolo, ma intrattiene in modo intelligente per un'ora e mezza e questo può bastare per un giudizio positivo.
 
Voto: 7,5