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giovedì 27 agosto 2020

La Compagnia (amore e dolore al Billionaire).

  

Di Mogol-Battisti-Briatore
LA COMPAGNIA (amore e dolore al Billionaire).
Canta Flavio Briatore.

 

Mi sono alzato
Mi son vestito
E sono andato in disco in disco senza mascherina
Ho ballato a lungo con qualche ex Letterina
Finché ho sentito qualcosa che non va
Finché ho sentito qualcosa che non va

Canzoni e fumo
Ed allegria,
Io ti ringrazio contagiosa compagnia
Non so nemmeno chi è stato a darmi il germe
Ma so che mi sento più caldo di un verme
So che mi sento più caldo di un verme

Contagiositàààà
Ho preso il virus e adesso più non se ne andrà
Il coviddi è quaaaaa
E una stanza al San Raffaele mi aspetterà

Abbiam bevuto, e poi ballato
È mai possibile che tu mi abbia già contagiato?
Eppure ieri il coviddi non era nell'aire
Ed oggi piange di dolore il Billionaire
Oggi piange di dolore il Billionaire... 

Virus Coronaaaaa,
Ti ho preso ieri e oggi mi ritrovo qua
L'ereditààààà,
Se nun me ripijo alla ventenne finirà!

Contagiositàààà
Ho preso il virus e adesso più non se ne andrà
L'ereditààààà,
Se nun me ripijo alla ventenne finirà! 

Il segreto del giaguaro: instant movie totalmente sbagliato

Film sballatissimo, che prova a essere trash (non riuscendoci), con Piotta che non ha il carisma per reggere il film e con una regia di Antonello Fassari di livello disastroso.




Film sballatissimo che buca ogni possibile obiettivo.
Si vede subito che è uno sfacciato tentativo di costruire a tavolino un film trash: e proprio questo per definizione lo rende quanto di più distante da un film trash.

E' un instant movie che prova a quantificare a livello monetario il successo clamoroso della devastante e irripetibile hit "Supercafone" buttando come uomo copertina Tommaso Zanello aka Piotta, il quale (pur essendo solitamente simpatico) si vede subito che non è portato alla recitazione. Gli autori si accorgono che non ha la naturalezza prevista e allora buttano lì un tentativo di coralità, che però avrebbe bisogno di una mano esperta e solida in regia. Qui invece a dirigere è Antonello Fassari, che mostra una sciatteria e una clamorosa incompetenza, combinando un disastro colossale: non a caso a oggi (a 20 anni di distanza) rimane la prima e unica regia dell'ex Avanzi.

Si susseguono un numero enorme di volti noti, peraltro mai sfruttati bene: da Lando Buzzanca (triste la scena in cui acquista il viagra in farmacia) a Isabella Biagini, passando per Gianni Ciardo e Ugo Conti (ben prima di riscoprirsi... ehm... "opinionista sportivo" nel trashiume di Biscardi Jr a 7Gold), ma nessuno ci crede. Appare anche un numero enorme di rapper della scena romana e non solo, discretamente noti per i fan del genere di quel periodo (prima che macellai del microfono e trapper lo uccidessero), ma sono nulla più che ospitate amichevoli: su tutti lo spazio maggiore se lo ritaglia lo sfortunato Primo Brown dei Cor Veleno, deceduto nel Capodanno del 2016 a soli 39 anni.

Le scene sono appiccicate a casaccio, mostrando solo il lato peggiore del cinema italiano, con le donne trattate con una pesante misoginia e con una scrittura palesemente improvvisata e affrettata, che rende così il quadro di nullo interesse e di livello umoristico totalmente inesistente. Il continuo citazionismo, in particolare nei riguardi della cultura pop anni '70, poteva anche essere simpatico ma aveva bisogno di una costruzione diversa.
Film che così che risulta sbagliato a 360 gradi e da lasciare nel dimenticatoio.

Voto: 1

martedì 25 agosto 2020

Six Feet Under: serie dalla qualità altissima

Grande serie tv che riesce ad analizzare gli aspetti drammatici di una famiglia disfunzionale con una straordinaria lucidità



Six Feet Under è la morte vista come metafora di tutto ciò che può accadere nella vita.
La morte che circonda ogni attimo di esistenza di una famiglia decisamente disfunzionale ma che non si trova che ad affrontare situazioni che possono toccare ogni famiglia normale.

Se nella prima stagione la strada intrapresa è quella del mix tra black comedy e drama, col passare del tempo il creatore Alan Ball tralascia completamente il primo genere e punta del tutto sul dramma, ma usandolo in modo lucido. Senza mai cadere nel melodramma e nel pietismo. Non mancano i momenti toccanti e forti, ma tutto è gestito con un gran tatto.

E' una serie che procede continuamente a ritmo compassato, lasciando da parte ogni genere di spettacolarizzazione gratuita e non avendo bisogno di cambi di passo per intrattenere e portare lo spettatore ad appassionarsi. E' la scrittura a fare la differenza. Una scrittura che sa analizzare con tatto estremo non solo il tema della morte, ma anche tutti gli altri che arrivano trasversali: il dolore, la depressione, ma anche il riconoscere la propria identità sessuale e la propria omosessualità, la crescita adolescenziale tra cattive amicizie e droghe, le compulsività.
Il mezzo del dialogo con i cadaveri altro non è che il rigurgito dell'inconscio, coi vari personaggi che così si ritrovano ad affrontare frustrazioni, paure o pulsioni che vorrebbero reprimere.

Quasi ognuna delle 63 puntate che compongono le cinque stagioni inizia con una morte, che nel 99% porta lavoro alla famiglia protagonista, proprietaria di un'agenzia funebre. Ben presto però la routine dell'agenzia in sé (pur con i Fisher che devono affrontare la concorrenza o i cambi di gestione) passa in secondo piano, perché è l'evoluzione dei personaggi a interessare ad Alan Ball.

Iniziando da Nate, il "cavallo di ritorno" che si ritrova (suo malgrado) di nuovo inglobato nella casa in cui era cresciuto e a gestire l'agenzia familiare visto che nella prima puntata il padre viene a mancare per un incidente stradale. Il personaggio interpretato dal buon Peter Krause (sicuramente al ruolo migliore della carriera) ha forse il percorso più impervio nel corso delle stagioni, con l'attore del Minnesota bravo a mantenere un'aria stralunata ma non banale.
Chiave è il personaggio di David, rimasto con la famiglia a gestire l'azienda e (inizialmente all'insaputa della famiglia) omosessuale, interpretato in maniera superba da un grande attore a livello televisivo come Michael C. Hall, che seguirà il successo di questa serie con il ruolo di protagonista in Dexter (quindi sostanzialmente nelle serie tv è stato in entrambi i lati del decesso).
Se personale e fragile è la visione del dramma della madre Ruth (Frances Conroy), a crescere come un diesel nel corso delle varie stagioni e ad avere un bel percorso di personalità è il personaggio della sorella minore Claire, interpretato in maniera superba da Lauren Ambrose: sorprende che questa attrice sia parecchio sparita dai radar dopo questa serie.
Ma nella ottima coralità della serie non sono secondari i personaggi dell'ispanico partner nell'azienda, della compagna di Nate e del di lei fratello con problemi psichiatrici, per una serie profonda e importante nella complessità di scrittura.

La qualità delle stagioni è costante e alta e inoltre (a differenza di tante serie tv) la chiusura è davvero strepitosa, con una meravigliosa sequenza (senza anticiparne i temi ovviamente) di sei minuti di pura classe: sei minuti in riferimenti al Six del titolo, ovviamente.

Voto 8,5

martedì 11 agosto 2020

Unbreakable Kimmy Schmidt: Kimmy vs il Reverendo. Spassoso film interattivo

Secondo tentativo interattivo di Netflix, anche questo interessante e riuscito nonché parecchio divertente, con 18 finali alternativi (e un "middle name" che cambia a seconda delle scelte)

Dopo il primo tentativo con Black Mirror: Bandersnatch, Netflix ripropone l'espediente del film interattivo (ma ovviamente interattivo in modo "pilotato"), stavolta puntando molto più sul giocoso (per quanto il serioso Bandersnatch avesse la sua ironia di fondo) con una sorta di spinoff della serie tv Unbreakable Kimmy Schmidt, serie che parlava dell'adattamento difficoltoso di una ragazza che aveva vissuto per anni rinchiusa in un bunker perché sequestata da un delirante Reverendo.
Se la serie tv alla lunga si perdeva perché troppi personaggi secondari diventavano macchiettistici, mentre le cose migliori si erano viste nelle prime due stagioni soprattutto per le azzeccate gag sull'incapacità di Kimmy (una Ellie Kemper brava nel riportare l'ingenuità e l'estraniamento della ex reclusa) di comprendere la cultura pop, questo film interattivo appare mediamente più elevato a livello qualitativo, perché si vede che gli autori hanno studiato più a fondo le varie situazioni.
A guadagnarci è soprattutto Tituss Burgess, che nella serie aveva momenti ottimi alternati a cadute di tono, ma che invece in questo film azzecca molte più battute e rende godibili quasi tutti i riferimenti pop (in particolare il tormentone su Mark Wahlberg è piuttosto spiritoso).

Le situazioni demenziali non mancano, vedi l'attesa dello Uber per 4000 minuti, il viaggio lentissimo in trattore in piena notte e la delirante evasione del Reverendo (da vedere in entrambe le opzioni) e a rendere alto l'interesse non è solo la curiosità per l'utilizzo dell'interattività, ma anche uno script che riesce a portare più volte al sorriso.

Oltretutto, a impreziosire il progetto è la presenza di due attori di qualità. Jon Hamm era la cosa migliore della serie tv nei panni del Reverendo e si conferma splendidamente gigionesco nel film, per un ruolo che sembra calzargli incredibilmente bene. Novità rispetto alla serie ma guest star di lusso è Daniel Radcliffe, con l'ex Harry Potter che (come in Miracle Workers) dimostra di sapersi mettere in gioco e di avere una dose notevole di ironia in grado di innalzare il livello del film. Tra le chicche del film, tra varianti delle scelte interattive il secondo nome del suo personaggio può essere Eurythmics o Bono. Devastante anche il cameo di Johnny Knoxville, esercente che dimentica la figlia piccolissima in negozio e che poi le chiede (in una delle opzioni disponibili) se vuole giocare con il suo accendino.
Chiaramente l'espediente dell'interattività è ancora in fase sperimentale, ma come in Bandersnatch si conferma insolito e interessante: la stramberia di questa serie si presta anche meglio del previsto al giochino e questo espediente è assolutamente da riproporre.
In questo caso i finali alternativi totali (tra cui sono però considerate le scelte "sbagliate" che ti portano immediatamente indietro) sono 18: se ci si fa prendere dal gioco, la curiosità di vederli tutti c'è sicuramente.

Voto: 8

domenica 9 agosto 2020

Sono morta... e vi ammazzo: "sono stato colpito... da una forchetta!!"

Film di una bruttezza surreale ed esilarante, sicuramente tra le più grandi schifezze mai prodotte sulla faccia della Terra. Imperdibile per i cultori dei film brutti.


1989. Nello stesso anno in cui Rob Reiner le affiderà un ruolo piuttosto importante in Harry ti presento Sally, le ristrette economiche causate soprattutto dall'abuso di cocaina convincono Carrie Fisher ad accettare la partecipazione a questo delirante B-movie, che per certi versi passa alla storia come l'unico film della sua vita in cui verrà accreditata come prima protagonista.

Il motivo per cui questo film è passato completamente sotto silenzio (ma da noi è recuperabile su Prime Video) è presto detto: è una catastrofe allucinante.

Appena arrivata nella nuova casa insieme al marito (Robert Joy, autore di una performance schizzatissima), la Fisher viene uccisa in un maldestro tentativo di rapina e riappare davanti agli occhi dello smidollato congiunto sotto forma di fantasma e lo spinge a una assurda vendetta con gli autori dell'assassinio.

La strada intrapresa non è però quella classica del revenge movie, ma si cerca una tremenda linea comica, che in un film scritto con i piedi ma recitato e diretto peggio crea un mix devastante.

Basti vedere la scena in cui la Fisher riappare davanti a Robert Joy, con un duetto di devastante comicità involontaria in cui lui le chiede come si stava nella tomba ("sei comoda?") e lei si lamenta per il vestito ("da battona") che le hanno messo, che per giunta non si abbinava col colore del trucco. Recitato in un modo accettabile, potrebbe essere un dialogo anche realmente divertente, ma se la Fisher appare completamente fuori forma, è la recitazione petulante di Joy a portare il film nel baratro.

A contribuire alla surreale non riuscita del film anche Matthew Cowles, che paga il dover interpretare un personaggio troppo stupido e demenziale come quello del vicino di casa che finisce (non si sa perché) per aiutare Joy nella vendetta.

Col passare dei minuti si evidenzia sempre di più una sceneggiatura che non sa che pesci pigliare a l'amatorialità del progetto, con teste di manichini che volano creando un effetto terribile, poliziotti completamente incapaci di comprendere circostanze ovvie e via dicendo, per quello che è possibilmente uno dei film più brutti mai prodotti sulla faccia della Terra. Vedere per credere: i culturi dei film brutti avranno pane per i loro denti al suon di "sono stato colpito... da una forchetta!!".

Perché è impossibile restare seri al cattivissimo che sbraita "mi stai a sentire brutto fottuto schifosissimo maledetto bastardo?" e la Fisher che lapalissiana afferma "mi sembra arrabbiato!".

Epicamente insulso!

mercoledì 5 agosto 2020

Acqua e sapone: soggetto blando ma Verdone in grande forma

La prima parte del film è spumeggiante e a tratti irresistibile con Verdone (in forma e a pieno nel personaggio) a imperversare e a colpire in ogni scena, poi inizia l'empatia con la Hovey (bellissima ma gelida) e il film inizia ad affievolirsi, fino a un finale discreto ma nulla più. 


L'istintiva e naturale carica di simpatia che avvolgeva il primo Verdone è la vera ragion d'essere di "Acqua e sapone", commedia romantica tenera ma un po' ingenua nel proprio sviluppo, che però a quasi 40 anni di distanza resta piuttosto piacevole da vedere.

Il merito è tutto di un Verdone in ottima forma, assolutamente immedesimato nel proprio personaggio e in grado di garantire anche nei momenti di calo del film quelle espressioni facciali che permettono allo spettatore di continuare a seguire le vicende con il sorriso, anche se non esattamente con l'interesse massimo (proprio per l'ingenuità della vicenda).

La prima parte del film è spumeggiante e a tratti irresistibile con il romano a imperversare e a colpire in ogni scena, anche grazie ai duetti con l'immensa Sora Lella, assolutamente irresistibile in ogni suo intervento nella pellicola (questa interpretazione la portò a vincere il David di Donatello come miglior attrice non protagonista). Per 40 minuti si vola alto, con momenti comici di ottimo livello, come quando Verdone deve trovare qualcosa da mettersi per cammuffarsi da prete prima del volo per Milano e si trova a dover rubare un abito a un cadavere, sfilandogli i pantaloni mentre la vedova lo piangeva, un momento strepitoso come quello in cui alla ragazzina che gli chiede cosa sia l'ATAC risponde dicendo che era l' "Associazione Teologica Amici di Cristo".

Poi però arrivano le esigenze di un soggetto non eccezionale e il personaggio di Verdone deve empatizzare e interagire con quello di Natasha Hovey, la quale appesantisce un po' il film anche per la propria presenza visto che pur essendo di una bellezza incredibile ("da ragazzina" davvero) appare completamente gelida nella recitazione e poco portata ad avere quella verve che un film del genere necessiterebbe. Il film inizia ad affievolirsi, ci inserisce una moraletta sull'invasività dei genitori delle giovani star che però non appare molto convinta, e se le cose non precipitano i meriti sono tutti di Verdone, comunque in grado di far sorridere per tutto il film, fino a un finale così così.

Antitesi del Verdone simpaticissimo è Fabrizio Bracconeri, che appare irritante e insopportabile: perlomeno essere irritante e insopportabile come attore era un conto perché non faceva danni, come invece fa adesso spacciandosi per politicante con dei deliri allucinanti. Per Christian De Sica e Michele Mirabella invece piccole apparizioni senza lasciare traccia, un po' come quella di Jimmy Il Fenomeno.

Voto: 7

Nemiche amiche: melodrammone prolisso

La Hollywood di plastica e delle facili emozioni perfettamente enfatizzata in questo polpettone indigesto.


Nemiche amiche è uno di quei tipici film di Hollywood che danno la totale sensazione di essere preconfezionati a tavolino per cercare la via del comodo melodramma, lasciando invece solamente un amaro retrogusto di plastica e dimostrando di essere prodotti senza anima.
Si cercano tutte le vie possibili (il bimbo che si rompe la gamba, il cancro della madre, ecc) per cercare la lacrimuccia facile, ma il lavoro di fondo è mediocre, con la psicologia dei personaggi (e non solo quella dei bambini, che per la maggior parte del film appaiono insopportabilmente petulanti) che cambia come niente da una scena all'altra senza apparente motivazione: un momento si chiariscono, quello dopo pronti di nuovo a scannarsi, "così de botto senza senso" come direbbero gli sceneggiatori di Boris.
Magari un prodotto del genere può anche essere aprezzato da un certo pubblico di bocca buona (quello pronto a commuoversi con la tv del dolore o con i reality), ma per tutti gli altri la profondità inesistente dei dialoghi e tutti questi mezzucci pseudo-drammatici portano unicamente alla frustrazione.

In tutto ciò Ed Harris (che apparentemente è il volto perfetto per l'ipocrita americano medio) ci sguazza perfettamente, così come in regia il nome perfetto è quello di Chris Columbus, mestierante che è quasi specializzato in questi film fatti alla buona.
Si vorrebbe salvare la professionalità delle due protagoniste, che è l'unico motivo per cui il film non crolla totalmente, ma Susan Sarandon (peraltro probabilmente alla performance recitativa peggiore della illustre carriera) e Julia Roberts sono non solo i volti di questo filmaccio ma ne sono anche artefici essendone produttori esecutivi.

E allora via, due ore e passa di melassa insopportabile che fanno rimpiangere il fatto che la Sarandon e la Roberts non fossero state realmente nemiche: magari se avessero continuamente litigato durante la produzione di questo film, non ci saremmo sorbiti questo polpettone indigesto.

Voto: 3