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lunedì 11 gennaio 2021

Il campione: storia ben... ferrata

Apprezzabile favoletta formativa, in cui non c'è nulla di realmente originale, ma è ottimo il voler raccontare una storia senza strafare. Il film è interessante dall'inizio alla fine e funziona il gioco a due tra Carpenzano e Accorsi.

Chi si aspetta da un film come "Il campione" una storia dallo sviluppo originale e imprevedibile può benissimo lasciar perdere in partenza.
Chi invece si aspetta di vedere un film ben fatto, piacevole e capace di creare interesse allo spettatore invece troverà pane per i propri denti.
Ogni tanto fa piacere vedere un film italiano più curato del solito, evitando certi pressappochismi fastidiosi, pur dovendo incorrere in qualche luogo comune (il calciatore con la vita sregolata, col padre a spolparlo e l'immancabile macchinone, con il protagonista che in questo caso più che un Balotelli appare essere un Cassano con però qualcuno che riesce a metterlo in riga a livello intellettivo).
Il film allora funziona, proponendo quella che tutto sommato è una favoletta formativa, evitando esagerazioni e forzature gratuite: quando non si ha l'ispirazione per proporre qualcosa di originale, allora è più serio evitare certi voli pindarici, limitarsi a raccontare la storia senza andare a prendere in giro lo spettatore. E in questo il film di Leonardo D'Agostini va apprezzato, anche per aver usato lo sport e il calcio in particolare come un mezzo per tratteggiare il carattere del protagonista, senza scadere nel puro film sportivo (pur essendoci delle scene "di campo", con anche le presenze canoniche d'obbligo di telecronisti e giornalisti reali: in questo si appura un inevitabile retrogusto farlocco, con Caressa che non evita di piazzare le solite trite e banali catchphrase e il duo Trevisani-Adani che appare supponente e insopportabile come nella realtà. Mentre risulta piuttosto improbabile che Tuttosport dedichi l'intera prima pagina a un giocatore della Roma: o perlomeno che lo faccia senza piazzare un "La Juve su Ferro"!).
 
Funziona bene il gioco a due tra i protagonisti, con Andrea Carpenzano da apprezzare per un'interpretazione che senza strafare riesce però a rendere non banale la caratterizzazione del calciatore, risultando anche discretamente credibile nei suoi atteggiamenti.
Per quanto riguarda Stefano Accorsi, non lo si vede far altro che... l'Accorsi: il che non è un male, visto che il film porta a confermare ulteriormente la bravura dell'attore bolognese, divenuto con gli anni ormai una garanzia per quanto riguarda un certo tipo di ruolo da portare sullo schermo.

Il film evita accelerazioni e picchi particolari (anche se non manca qualche scena godibile: molto divertente quella di Accorsi alla guida della Lamborghini), mostrando anche qui una volontà di raccontare una storia senza andare a strafare in maniera forzata, portando a un centinaio di minuti in cui l'interesse resta costante. Può non essere un capolavoro, ma probabilmente non mirava nemmeno a esserlo. Però è un film decisamente interessante che si fa apprezzare, soprattutto pensando alla media del grigio panorama cinematografico italiano.

Voto: 7+

sabato 9 gennaio 2021

Il colpevole: claustrofobicamente intenso

Visivamente non si esce dal centralino del Pronto Intervento della polizia danese. L'azione è sentita e mai vista. L'impatto però è straordinario, per un thriller di rara intensità.

 

Asger Holm al centralino del Pronto Intervento riceve la chiamata di una donna apparentemente sequestrata dal suo ex marito, mentre i figli piccoli sono rimasti soli a casa. Che fare? E quale è la verità?
 
Quando ci si mettono gli scandinavi riescono a proporre, sia in letteratura che a livello cinematografico, dei thriller di straordinaria efficacia, spesso legati all'atmosfera ambientale con i paesaggi unici dei paesi nordici. In "Den skyldige" però si entra in un vortice claustrofobico, perché non si esce mai dagli uffici del centralino del Pronto Intervento della polizia danese, tanto che si può dire che l'azione non sia mai vista ma solo sentita. Il risultato è un thriller di grande impatto, tutto mirato alla scrittura, ai dettagli che via via vanno scoprendosi scoinvolgendo la visione iniziale, mirando tutto sull'intensità dell'emergenza e della situazione.
Forte anche di una durata di poco superiore agli 80 minuti, il ritmo diventa incandescente per un film che lascia col fiato sospeso, coinvolge ed emoziona, portando lo spettatore a immedesimarsi perfettamente nei panni del protagonista, ovviamente onnipresente: e in tal senso per la riuscita del film è fondamentale non sbagliare l'attore principale, con Jakob Cedergen che propone un'eccellente interpretazione portando ai nostri occhi tutta la tensione vissuta dal protagonista.
 
A livello visivo non si esce mai da due uffici del centralino, eppure questo è un film di respiro molto più ampio di tantissimi altri.
Un thriller davvero notevole e da vedere assolutamente.

Voto: 9

sabato 2 gennaio 2021

Il talento del Calabrone: Castellitto v Richelmy, un duello improbo

Se un grande Castellitto e una bella fotografia creano interesse, ci pensano una scrittura banale e approssimativa e un Richelmy ancora una volta insopportabile a rovinare tutto, per quello che resta un thriller d'atmosfera pesantemente incompiuto.


Film come "Il talento del Calabrone" sono sostanzialmente portati avanti da un solo attore, che innalza il livello e tiene alta l'attenzione dello spettatore sostanzialmente da solo, lasciando da un lato un senso finale di occasione persa e dall'altro una frustrazione per la pochezza d'insieme.
Non si può non iniziare allora da un Sergio Castellitto assolutamente eccellente, in un ruolo non certo facile visto che (da voce al telefono che terrorizza il programma radiofonico e la città) è costretto a una certa staticità d'azione. Quando tutti intorno strepitano e sembrano volersi far notare con un over-acting fastidiosissimo, Castellitto domina andando al contrario, con una recitazione misurata al massimo e proprio per questo straordinariamente intensa.
 
Dovrebbe essere abbastanza per un buon film, purtroppo attorno c'è poco di convincente in questo thriller che vorrebbe riprendere l'ambientazione del bellissimo "Io uccido" di Giorgio Faletti, senza avere però minimamente la profondità nella scrittura: anzi ogni dettaglio, dalle situazioni a come vengono trovati gli indizi passando per la descrizione dei personaggi, appare di una sterilità preoccupante, con tutto che appare appena abbozzato e mai approfondito. Come ho letto in altre recensioni, la sensazione chiara è di vedere un film approssimativo, un vorrei ma non posso che lascia parecchio perplessi.
Perché oltre Castellitto non si trova nulla da salvare, se non un'atmosfera intrigante in una Milano notturna fotografata in maniera insolita ma brillante, per un film che per questo riesce a interessare lo spettatore ma che per la pochezza della scrittura non convince: si resta appunto sul thriller d'atmosfera senza volere o potere andare oltre, restando una prova acerba.

A spiccare completamente in questo film è anche la pochezza recitativa, visibile in particolare in Lorenzo Richelmy, un totale oggetto misterioso che ci viene appioppato non si sa perché in diversi film: da DolceRoma in poi (in cui sembrava schizzato sempre allo stesso modo in ogni scena del film) mi lascia un pesante senso di inadeguatezza e fastidio, tanto che è sulla buona strada per diventare l'attore più detestato dal sottoscritto, pronto a togliere lo scettro a Riccardo Scamarcio. Richelmy rende odioso il suo dj con il solito senso di esagerazione che finisce per urtare continuamente lo spettatore. E davvero risulta imbarazzante la differenza di stile e di qualità attoriale tra costui e Castellitto.

In questo caso male male anche Anna Foglietta, non aiutata da una sceneggiatura che le ricalca un personaggio abbastanza ridicolo, che deve stare sul set sempre in abito da sera e che nonostante la carica elevata (è lei a comando delle operazioni per la polizia) non conosce cosa sia un VoIP, salvo poi tirare fuori così dal nulla intuizioni che girano le indagini: appunto, il senso di approssimazione che il film lascia allo spettatore per la sua scrittura davvero incoerente. Il personaggio della Foglietta più che agire va a reagire, subendo continuamente gli eventi della vicenda.

A creare un senso di frustrazione anche il finale, che prima ha dei monologhi fin troppo dilungati, in cui peraltro il pessimo Richelmy strascica le parole risultando persino poco comprensibile (tanto mica è il momento in cui si dovrebbe capire tutto del film! Levatemelo da davanti gli occhi per favore questo cane!), per poi avere una risoluzione troppo affrettata, incapace di avere un impatto minimo sul piano della tensione e dell'intensità.

Insomma, con una maggiore competenza attorno a Castellitto e a questo bell'impatto visivo si poteva e doveva creare qualcosa di molto più forte. Invece qua tutto sembra appena accennato, compresa la sterile critica sociale con il web che viene attirato dall'interesse e con la Radio che sembra interessata solo ad attirare il maggior numero di ascoltatori: e visto che parliamo di Radio 105, capace di "regalarci" feccia devastante come il terribile Zoo, non mi sorprenderei che in una situazione reale del genere quei simpaticoni si comportassero esattamente in questo modo.

Voto: 4-