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giovedì 23 novembre 2023

Cento domeniche: vero cinema sociale

Un grande Antonio Albanese si immedesima alla perfezione nel protagonista, rifugge dalla retorica radical chic tipica dell'attuale cinema italiano e dà una strepitosa prova d'attore. 


Che Antonio Albanese avesse a cuore alcune dinamiche sociali reali lo avevamo già visto in passato.
Che però fosse così in grado di esprimerle con forza, sfuggendo dai concept tipici dei prodotti radical chic all'italiana (intendendo come "radical chic" quei registi e autori che provano a parlare di certe tematiche quando in realtà vivono in una loro bolla, senza capire mai realmente le dinamiche da "vita vera" e quindi fallendo totalmente anche nella trasposizione di essa) era tutt'altro che scontato. Ebbene, in "Cento domeniche" ne esce fuori un Albanese impressionante: non perfetto, ma davvero notevole, in particolare nel grigissimo e falsissimo panorama del cinema italiano attuale.
 
Il fatto che questo tatto e questa sensibilità arrivi poi da quello che è uno dei grandi talenti comici italiani in attività risulta ancora più impressionante: ma che Albanese fosse un attore vero, con la A maiuscola, anche in contesti totalmente seri, lo avevamo appurato soprattutto ne "L'intrepido". Oggi però si ha una conferma pesante: almeno a livello soggettivo, Antonio Albanese è l'attore numero 1 nel panorama attuale italiano.
Davvero strepitoso il tatto con cui riesce a immergersi in una storia del genere, aiutato comunque da uno script che regge, che è sensibile al tema dei raggiri bancari, che (come detto) non cade nei luoghi comuni e nella retorica del cinema italiano attuale, che permette di riconoscere senza nessun problema il protagonista come un essere reale, esistente, che può essere ognuno di noi o ogni persona che ci è attorno: l'Antonio protagonista del film (un Albanese sostanzialmente sempre in scena) non è una caratterizzazione triste e poco attendibile come centinaia di altre viste recentemente nel cinema italiano, è tangibile e riconoscibile. Proprio per questo il film fa più "male", arrivando a lungo andare a colpire come un pugno allo stomaco.
E Albanese è sensazionale nella sua espressività, riportandoci con una recitazione senza eccessi la vera essenza di un uomo tranquillo caduto in una spirale devastante di disperazione: il viso che via via si fa sempre più tramutato e corrucciato, le occhiaie a lungo andare sempre più marcate, la devastazione dovuta ai sempre più forti attacchi d'ansia, con conseguente mano tremante e ogni segnale tipico del soggetto in pesante stato ansioso. Sembra chiarissimo che dietro questo film ci sia uno studio della realtà, un riuscire a comprendere il come si senta una persona "vera" di fronte a queste situazioni. E poi c'è il tatto di uno splendido attore nel saper vestire questi panni e riuscire a rivedersi nel protagonista. Bravissimo.
 
Non è un film perfetto, probabilmente il tono dimesso dell'intera messa in scena può non appassionare qualche spettatore, sicuramente la regia poteva avere qualche trovata maggiore. Ma il film funziona. Ed è cinema sociale come purtroppo non se ne vede più da tanto, troppo tempo. Un film che va crescendo via via in parallelo alla disperazione di Antonio. Fino al finale forse non del tutto imprevisto, ma forte. Come un pugno allo stomaco.
Voto: 8


giovedì 24 marzo 2022

Genitori vs Influencer: film scritto davvero male

L'analisi delle nuove tecnologie non esiste nemmeno, perché i social vengono trattati con una imbarazzante faciloneria che finisce per banalizzare tutto.

Che il cinema italiano (specialmente nella commedia) non sappia trattare l'argomento social e nuove tecnologie è un fatto risaputo: può cambiare la tendenza un soggetto così centrato proprio su tali argomenti?
Potrebbe. Se solo si avesse coraggio e idee, creatività e capacità di comprendere gli argomenti. Cosa che però in "Genitori vs Influencer" non esiste.
 
Cosa vuole essere questo film?
Non sa essere una commedia di costume, perché il mondo reale è trattato in modo palesemente superficiale e non c'è l'acume per entrare in certi dettagli fondamentali.
Non sa essere una satira sul mondo social, perché non c'è il coraggio di creare una vera critica né su questo né su coloro che lo criticano senza capirlo (e d'altronde non puoi fare satira se poi nel cast in un ruolo abbastanza importante metti Giulia De Lellis, ovvero proprio il profilo che dovrebbe entrare nel calderone).
Non sa essere un anti-teen movie, perché (come spesso capita nel cinema attuale che non si abbassa a provare a comprendere le nuove generazioni) i giovani vengono descritti come esseri vuoti unicamente attaccati al cellulare, descrizione ancora più superficiale della superficialità giovanile descritta: salvo poi andare su passaggi risaputi sembrando esattamente un teen movie dei più banali.
E infine non sa essere un film rivolto al pubblico giovanile, perché non lo fai certo unicamente descrivendo gli adulti come dei cretinotti del tutto incapaci di comprendere le nuove tecnologie.
 
Si crea un vero e proprio pasticcio per l'incapacità di avere presente una vera strada da seguire. E soprattutto per l'incapacità di osare realmente, di criticare tutto e tutti e di non voler tracciare già dopo mezz'ora strade forzate per intravedere la comoda via dell'happy ending.
E' proprio la faciloneria con cui viene descritto il mondo social la base del disastro di questo film, dando la sensazione che gli autori per primi non sapevano bene ciò di cui parlavano: e poi quanto è facile al cinema diventare "virali"?

In questo caso non è certo un problema di attori, anche se alcuni vengono sfruttati malissimo (dal gruppo dei vicini, con Frassica che nel vuoto generale riesce a piazzare un paio di battute simpatiche, al preside di Massimiliano Bruno), caratterizzati in maniera sciatta e banale. Anche perché il Fabio Volo tanto vituperato come scrittore (anche dal sottoscritto a essere sinceri), come attore non è poi così male e riesce a rendere umano il proprio personaggio in un film di personaggi poco vivi. E nemmeno Ginevra Francesconi (nella banalità del proprio personaggio) finisce per sfigurare.

Il problema, come troppo spesso capita nella commedia italiana attuale, sta nella scrittura che vorrebbe strizzare l'occhio a tutti, finendo per non raccontare nulla, per rendere tutto estremamente banale. E finendo per cui per scontentare tutti.
Velo pietoso per la ruffianeria delle comparsate delle Iene o di Barbara D'Urso, che non meritano nemmeno il commento.

Voto: 2

mercoledì 23 marzo 2022

Una notte da dottore: rarissimo esempio di remake piacevole

Nonostante le attese prossime allo zero, il film finisce per essere piacevole e divertire soprattutto nella sua fase centrale.


Le mie attese all'approccio di questo film erano prossime allo zero per tre semplici motivi.
1) L'ennesimo remake a cui la commedia italiana si trova a ricorrere. Come se ormai non si abbia più mezza idea in croce, per un genere che continua a proporre una quantità industriale di film, un numero però inversamente proporzionale alla creatività degli autori.
2) Non solo, l'ennesimo remake di una commedia francese, nonostante una miriade di fallimenti in prodotti di questo tipo (chiaramente lo stile di quei film non si confa particolarmente agli attori italiani).
3) La presenza di Frank Matano, uno che (ammetto) mi aveva portato al sorriso alle prime scemenze fatte su internet ma che poi non mi ha mai più fatto ridere, né in tv né tantomeno nel cinema.

Disastro annunciato? No, perché alla fine il risultato è spiazzante (almeno per me): non solo non si vede un film squallido, ma ci si ritrova tra le mani un film piacevole. E stop the press: Frank Matano mi ha fatto ridere!

Non tutto è perfetto, sia chiaro. Il film ci mette un po' ad accendersi e le fasi seriose/drammatiche (la genera del dottore) sembrano un po' tirate lì per i capelli, ma evidentemente quando c'è un minimo di ispirazione nel produrre una pellicola su certi difetti è più facile per uno spettatore esser portato a chiudere un occhio.
Soprattutto perché alla fine il giochino che sta alla base del film funziona, ovvero quello di portare un rider (Matano) a visitare dei pazienti per l'indisposizione del medico (Abatantuono), il quale da par suo commenta sardonicamente fuori campo (per mezzo dell'auricolare del cellulare).
Funziona perché funziona il feeling tra i due attori, tra di loro e coi loro personaggi. Abatantuono gioca di mestiere, trovando il mix giusto tra l'ironia e la certa malinconia del suo personaggio. Mentre a sorprendere è proprio Matano, che finalmente (per una volta) sembra uscire dai panni della macchietta (panni di rispetto se portati bene, ma che incutono frustrazione e antipatia se portati male) e che pare voler per una volta recitare, riuscendo quindi a trasporre in maniera abbastanza convincente lo straniamento del rider ritrovatosi a compiere delle visite mediche a domicilio: riuscito in questo l'attore, riesce poi la parte comica, con più di una situazione che riesce a portare alla risata facile per l'assurdità della situazione ("ma che combina?" dice il genitore allibito, "è un dottore lei?", "sì sono un chirurgo").

Certo, il doversi giocare continuamente l'arma del remake (che poi adesso come adesso risulta ancora più inutile rispetto a decenni fa, visto che è ancora più facile andarsi a cercare il film originale) resta qualcosa di rivedibile, ma per una volta il giochino funziona e il film regala un'ora e mezza piacevole.

Voto: 7

martedì 22 marzo 2022

La casa di famiglia: leggero ma (quasi) del tutto dimenticabile

Non più che sufficiente. Ma la gag del "busto di Beethoven" vale da sola la visione.

 


"La casa di famiglia" è il riadattamento di una pièce teatrale che dà la chiara sensazione di essere sceneggiata in modo vagamente superficiale: si vedono le potenzialità discrete del soggetto, ma tanti punti nel film vengono appena abbozzati e poi dimenticati con una facilità non certo consona a un lavoro di un certo livello. Viene da pensare all'ex marito della sorella (Matilde Gioli) o all'opera del fratello pianista (Stefano Fresi), tutti abbozzi mai realmente approfonditi che penalizzano il giudizio su un film che pure non è certo brutto o frustrante da vedere. Anzi la visione scorre abbastanza piacevolmente, con anche un paio di gag piuttosto riuscite che portano facilmente al sorriso.
Su tutte è fantastica la trovata del busto di Mussolini che, con su una parrucca delirante, viene spacciato al padre come raffigurazione di Ludwig van Beethoven, un acuto geniale che arriva del tutto inatteso.

Risulta quindi questa scena l'unica cosa realmente memorabile in un film che scorre facilmente, ma che altrettanto facilmente non lascia tracce reali. Professionale ma non ispiratissima anche la prova degli attori, con Stefano Fresi che si innalza facilmente (per differenza di talento) tra i quattro fratelli protagonisti, pur risultando piuttosto contenuto nella propria recitazione, mentre appare desueto (non una novità nel panorama del cinema italiano dove davvero c'è terrore nel provare a rendere forti i personaggi femminili) il personaggio appiccicato a Matilde Gioli, che deve restare attaccata all'ex marito (e quindi portata facilmente al pianto) per poi sfoggiare tutto lo charme nel sedurre il nuovo acquirente della casa. Insomma, ispirazione generale rara in tutto il film, anche se comunque il quadro è piacevole e non cade nelle presunzioni e nei moralismi tipici della commedia italiana attuale.

Voto: 6

venerdì 11 marzo 2022

Pietà per Abramovich e il Chelsea FC? Not for me



Ieri il governo britannico ha congelato il Chelsea con questa spiegazione:
"Abramovich is associated with a person who is or has been involved in destabilising Ukraine and undermining and threatening the territorial integrity, sovereignty and independence of Ukraine, namely Vladimir Putin, with whom Abramovich has had a close relationship for decades. This association has included obtaining a financial benefit or other material benefit from Putin and the Government of Russia."

Sostanzialmente quello che ho sempre detto e saputo io nel mio piccolo.

La ESPN dà una buona lettura sulla questione:


Ora tutti a dire "che c'entra il Chelsea, povero Chelsea".
Eh no bimbi miei. No.
In sostanza: io tutta sta pietà sul Chelsea non ce l'ho.
È diventato cuore e anima del suo proprietario da oltre 25 anni, non da ieri.
Tutto quello che è successo in quel club in questo periodo è frutto del mafioso sistema Putin.
Tutti gli oligarchi sono questo, figli di quel sistema, né più né meno.
Poi si può discutere sul fatto che se ti staccavi completamente da quel sistema (o peggio lo criticavi) semplimente Putin ti ammazzava o incarcerava (basta recuperare certi documentari per trovare esempi).
Qui però il "signor" Abramovich ha avuto "close relationship for decades". Ergo, il "signor" Abramovich da decadi sguazza allegramente nella melma della mafia Putin. Il fatto che certi personaggi vogliano farcelo apparire come un santo rende codesti personaggi dei buffoni indicibili.
Si può discutere sul fatto che il governo britannico si sia svegliato adesso (Putin è quello che faceva saltare palazzi a Mosca per giustificare il massacro dei ceceni), qui si può ragionare. Ma di certo non verso lacrime e non ho pietà per Abramovich e tutto ciò associato a lui.

Prima di piangere per il Chelsea mi appurerei che abbiano pulito bene il sangue dai trofei conquistati nelle ultime due decadi abbondanti. Thanks.

giovedì 10 febbraio 2022

Don't Look Up: regole per un mondo difettoso

Lo si può definire un film di "fantascienza attuale". E soprattutto lo si può definire un film riuscito. Più che un tentativo di far satira, è un tentativo intelligente di spogliare l'umanità dalle proprie idiozie odierne. Riuscite anche le parti ironiche, anche se vengono del tutto abbandonate nella fase finale.

[Premessa doverosa prima di parlare del film: il blog è stato inattivo per tutti questi mesi causa forza maggiore. Il 6 Settembre mi sono procurato una devastante frattura scomposta alla spalla, con tanto di operazione e di recupero prevedibilmente a rilento, che sostanzialmente mi rendeva impossibile scrivere al computer. Ancora adesso il recupero al 100% non è così vicino, ma per fortuna alcune funzionalità sono tornate e Don't Look Up diventa la buona occasione per tornare a scrivere e iniziare a riaggiornare il blog]
 
Cast di extra-lusso, produzione magnificente e un soggetto abbastanza sagace. Cosa può non funzionare in un film come Don't Look Up?
Su una base simile solo una gestione scellerata di un regista, o magari una sceneggiatura insulsa, può portare alla delusione, ma tutto ciò non va banalizzato alla voce "successo atteso".
Don't Look Up può non essere perfetto, la stesura estremizzata (138 minuti) può rendere sfilacciate alcune parti di raccordo e (a mio modesto modo di vedere) il livello di satira in sé per sé non è particolarmente azzeccato, ma resta un film che a suo modo funziona in ogni suo aspetto.
Non sarà granché originale a livello satirico, ma è un film capace di divertire per tre quarti della sua durata, con gli autori che però sostanzialmente accantonano ogni spunto ironico nella fase finale drammatizzandola un po' eccessivamente. La satira è modesta, ma i tempi della commedia sono buoni e non mancano le scene capaci di indurre alla risata, su tutte quella in cui Leonardo DiCaprio prima dell'apparizione nello show televisivo palesa la propria preoccupazione per la recente separazione di Ariana Grande.
Dove il film riesce pienamente è nell'intento critico di una società allo sbando, schiava dei brand e delle follie di certi magnati, capaci persino di decidere la tempistica sulla missione salva-pianeta. Il film risulta così un'operazione intelligente di spogliare la società occidentale da tutte le idiozie di moda attualmente, una società instupidita da reality e dall'uso eccessivamente serioso (o superficialmente ironico da parte di personaggi che dovrebbero rappresentare delle autorità) dei social network, con gente della strada che si permette persino il lusso di dubitare della scienza (il "per me la cometa non esiste nemmeno" è tanto lontano dall'ideologia no-vax?).

Può esistere il concetto di "fantascienza attuale"? Se sì, questo film ci rientra in pieno. La sensazione è che, pur con alcuni aspetti semplicistici, in "Don't Look Up" si veda fedelmente cosa accadrebbe se una situazione d'emergenza simile si verificasse realmente. Proprio come l'esplosione di una disastrosa pandemia è stata capace di palesare agli occhi di tutti troppi lati imbarazzanti di una società tragica.

Il cast stellare fa il proprio lavoro ed eleva in maniera irrefrenabile il film, con DiCaprio che al solito non sbaglia un personaggio neanche per sbaglio e Jennifer Lawrence efficacissima specialmente nella prima parte, ma sarebbero tanti da citare, vedi Meryl Streep strepitosa "female Trump" e il sarcasmo arrogante e presuntuoso di Jonah Hill nella parte del figlio della Presidente. Ma davvero sarebbe stato difficile per tutti non far funzionare questo cast.

Da vedere.

Voto: 8