_______________________________________________

_______________________________________________

lunedì 30 agosto 2021

Football Weekend Recap: Leonardo Mancuso l'anti-Superlega; North London agli antipodi; il povero Unai, and so on


Approfittando un po' del weekend tronco, ovvero senza Monday Night causa Nazionali, torno un po' a usare il blog con questo nome tornando un po' ai vecchi tempi, ovvero parlando (e sparlando) di calcio: senza tornare alle abitudini di anni fa, ma andando un po' di libero pensiero e di opinioni personali, magari per un appuntamento continuo, magari fino a quando mi stufo, magari discontinuo da buttare lì solo quando ho qualcosa da dire, vedremo, non ne ho idea al momento.
L'idea è di voler cambiare un po' il punto di vista, senza fossilizzarsi sulle solite squadre, sui soliti nomi, su quei personaggi ridicoli che volevano scegliere con chi giocare e chi era degno o meno di sfidarli su un campo da calcio. Per iniziare, parlo a ruota libera dei Top 5 campionati europei e poi un po' in generale del resto. Di solito la mia preferenza personale è (come forse qualcuno sa) sul calcio inglese, ma oggi direi di iniziare a parlare di altro perché c'è una squadra che merita la copertina.

SERIE A. Il primo discorso lo merita l'Empoli, in quella partita da sabato sera che proprio rientra nell'elenco delle "partite inutili" secondo un figlio di papà che è riuscito soltanto a rendersi ridicolo facendosi manovrare a piacimento da Florentino Perez, giocandosi la faccia: già, povero Agnelluzzo coi suoi sogni da Superlega e che in pochi mesi s'è trovato a vedere i propri "gioielli" perdere in casa da Benevento e Empoli. Proprio quel genere di squadra che non dovrebbe essere degno di affrontare la Juventus, secondo il suo modo di vedere: d'altronde gli Agnelli sono sempre stati questo genere di personaggi persino quando erano "persone forti", figurarsi questa animella che è finita soltanto a essere il lacchè di Florentino.
E che Empoli s'è visto a Torino: Aurelio Andreazzoli è riuscito a mettere del suo senza stravolgere il grande lavoro svolto da Alessio Dionisi in Serie B l'anno scorso, con un calcio aggressivo anche sul campo di una big, con movimenti continui e mai causali, esaltati soprattutto da un incredibile Nedim Bajrami, che riesce sempre a trovare la posizione giusta (l'ha fatto tutto l'anno in B, lo sta continuando a fare in A) per pungere con pericolosità. A volte non si capisce quanti Bajrami ci siano in campo, sembra essere ovunque, a destra e a sinistra. Oltretutto, l'Empoli ha un calcio efficace e pungente, grazie alla capacità di attaccare con buon numero e già contro la Lazio (specie nel primo tempo) aveva mostrato un impatto interessante: alla prima era mancata completamente la difesa, compreso Guglielmo Vicario che era stato incertissimo. Ebbene, un Sebastiano Luperto in più al centro e un Vicario ben più sicuro hanno cambiato tutto. C'era anche un avversario diverso, perché la Lazio affrontata alla prima era ben più insidiosa della Juventus smarrita di sabato sera, in preda anche ad alcuni deliri tattici che evidentemente non sono passati con l'addio di Andrea Pirlo: Federico Chiesa era apparso imprendibile da punta nei primi 20 minuti, perché a quel punto spostarlo a destra? E in una partita simile, Danilo a centrocampo per 90 minuti? Tecnicamente la Juventus è stata sconcertante, ma l'Empoli è stato brillantissimo e sembra già aver trovato la propria quadratura per un degnissimo campionato di Serie A, perché come gioco e come personalità c'è parecchio materiale e Andreazzoli finora è stato eccellente nel non stravolgere quanto era stato costruito l'anno scorso.

La differenza di impatto tra l'Empoli e le altre neopromosse è notevole: il salto di categoria (specialmente nel calcio dei sempre maggiori squilibri economici e delle big che hanno rose infinite e miliardi di calciatori da mandare in prestito, uno dei principali cancri di questo sport) è sempre tosto, quando per ristrettezze economiche fai mercato tardi lo è ancora di più. Questo è soprattutto stato il problema del Venezia finora, che oltretutto aveva mezza squadra fuori alla prima a Napoli (ma i nostri giornalisti parlano di "emergenza" solo quando alla big mancano un paio di calciatori in una rosa di 20+ titolari, mica quando a un Venezia mancano quattro squalificati e due infortunati in una rosa meno ricca e per giunta incompleta!) e che ancora deve inquadrarsi bene: a Udine si sono visti sprazzi e qualche nuovo innesto potrebbe diventare importante (soprattutto Thomas Henry), ma questa è sfacciatamente una squadra che ha iniziato il campionato quando ancora non era totalmente pronta. Forse per pareggiare questi squilibri si potrebbe anche agire a livello generale europeo: ovvero, portare a una data fissa per l'inizio dei campionati di quasi tutta Europa (tanto a pensarci, nel weekend di Ferragosto sono partiti tre dei campionati considerati Top 5, sfalsati di una settimana c'erano Ligue 1 e Serie A, a iniziare rispettivamente sette giorni in anticipo e in ritardo) e far coincidere con essa la fine della sessione estiva di mercato. 
Discorso un po' diverso per la Salernitana, che comunque con Castori ha la sua identità precisa: il problema è che contro la Roma questa identità era unicamente difensiva. Ci sta anche che si giochi con una linea a 9 in difesa (perché sostanzialmente questa era), ma bisogna anche avere qualche carta per ripartire e cambiare fronte, mentre nel primo tempo all'Arechi era un "attacco vs difesa" continuo. E infatti appena a inizio ripresa la partita s'è stappata, non c'è stata più storia. Anche per i campani c'è bisogno di un po' di tempo per capire cosa possano fare (anche perché finora l'acquisto più importante non s'è visto, e parlo di Simy), ma è altrettanto ovvio che l'atteggiamento deve essere poco simile a quello di questa partita e più simile a quello visto a Bologna, dove anche in inferiorità numerica la Salernitana riusciva a buttarsi in avanti (tanto da casuare un'espulsione avversaria e ritrovarsi due volte in vantaggio).
A tal proposito, dopo settimane in cui si cercava e si auspicava il presunto "arbitraggio all'europea", la cosa peggiore delle prime due settimane di Serie A è stata proprio la linea di arbitraggio: squallido che nel primo weekend due partite normalissime siano finite con tre espulsi (Bologna-Salernitana) o due espulsi (Roma-Fiorentina)! Un metro assolutamente folle, che porta a vedere in un Juventus-Empoli sostanzialmente senza contatto un totale di quattro ammonizioni. Senza entrare nel merito moviolistico (che personalmente odio) che vede segnalato come fallo un contatto inesistente come quello su Meret a Genova, mentre quello grossolano su Lautaro Martinez a Verona non viene considerato un fallo da calcio di rigore. Se si vuole iniziare a essere meno antiquati nella linea arbitrale bisogna iniziare dai cartellini, che vanno spesi solo quando servono: la realtà è che arbitri di poca personalità (come quelli attuali in Italia soprattutto) li usano per "tenere in controllo" la partita. Follia.

PREMIER LEAGUE. North London che apre e chiude la classifica: e davvero c'è poco da sorprendersi. Il Tottenham sta riuscendo con intelligenza a cambiare completamente volto dopo la sballatissima era Mourinho, con un nuovo coach (ormai non riesco a chiamarli più "manager": perché nessuno di questi è un vero manager più) che finora intelligentemente ha saputo snaturarsi. Si sono visti tre 1-0, un gioco non certo simile a quelli del Wolverhampton di Nuno Espirito Santo, ma questo serviva all'allenatore portoghese per iniziare col piede giusto. A giusto tempo verosimilmente vedremo sempre più attuate le sue idee, sperando che Harry Kane possa essere più coinvolto: se Espirito Santo fosse stato un fondamentalista, che ciecamente avrebbe voluto imporre tutte le sue idee immediatamente, un inizio campionato con sfide toste come quelle contro Manchester City e Wolverhampton non avrebbe certo portato questi nove punti. Non bisogna vederci troppo in questo primo posto dopo tre giornate, ma intanto è un segno di un uomo intelligente che si crea un giusto credito nell'ambiente.
Credito che incredibilmente nel Nord di Londra continua ad avere (in società almeno) un allenatore agli antipodi come Mikel Arteta: uno scempio che insieme all'altro disastro che è Edu (capace di spendere 150 milioni di euro in estate per peggiorare la squadra) sta distruggendo definitivamente l'Arsenal, che ora non casualmente è ultimissimo in classifica, incapace di segnare un gol (ma d'altronde quando tiri raramente in porta...). Cosa deve fare un allenatore per essere cacciato? Proprio il fatto che ancora non sia stato fatto fuori dimostra tutto quello che non va all'Arsenal: quali sono le prospettive?

E' una Premier League sempre più lontana dal "calcio inglese", è un calcio ormai omologato e lontano da ciò che aveva fatto appassionare non dico i tradizionalisti (perché il sottoscritto tutto è meno che un tradizionalista) ma gli amanti di certe ruvidezze e certe fisicità tipiche di un altro calcio inglese (un calcio che si vede ancora in certa Championship e in generale nella Football League). Ed è una Premier League che, pur mantendendo un livello tecnico accettabile in sé per sé (i risultati europei lo testimoniano), è reduce da un paio di stagioni completamente negative a livello di qualità visiva e spettacolare: lo scorso anno un po' tutti i big match sono stati inguardabili (tranne casualmente le due sfide tra Liverpool e Tottenham). Quest'anno, a parte l'Arsenal (che d'altronde è tutto meno che una big al momento), in tre giornate abbiamo avuto due big match: Tottenham-Manchester City e Liverpool-Chelsea. Nonostante una di queste sia stata completamente influenzata da un rosso rivedibile prima dell'intervallo, devo dire che sono state entrambe due partite parecchio godibili: nonostante nessuna delle quattro squadre abbia segnato più di un gol! Se si guarda un po' tutti i campionati, specialmente nel primo tempo di Anfield di sabato scorso si poteva appurare come si stesse viaggiando a dei ritmi che altrove si vedono molto raramente, ritmi che potrebbero anche esser sofferti da un grandissimo acquisto come Romelu Lukaku: reduce da due stagioni spettacolari all'Inter, sabato sembrava più simile al Lukaku che si palleggiava addosso e si sparava le rovesciate in faccia ai tempi del Manchester United. Questo perché intanto s'è abituato a un campionato che dava un paio di secondi in più di tempo per effettuare la giocata, ma forse questo anche perché a livello tecnico potrebbe anche soffrire l'aggressione continua che si vede ogni tanto in Premier League (quella che ha fatto vedere il Liverpool specie nel primo tempo): potrebbe anche servire un semplice riadattamento, se Lukaku è davvero cresciuto a livello globale dai tempi di Old Trafford lo dimostrerà presto, ma lì per lì nel primo tempo di sabato veniva da ripensare a "quel" Lukaku più che al Lukaku strabordante e coinvolgente visto in Serie A (ma attenzione, anche all'Inter non lo si era visto ai livelli veramente alti europei, il che fa sorgere qualche dubbietto).
 
In un calcio inglese continentalizzato, il West Ham sembra essere qualcosa più vicino alla Premier League di 15-20 anni fa: compreso quel centravanti di tutto muscoli che è Michail Antonio, impossibile da non amare se si è cresciuti con un certo football. Già era stato sorprendente il West Ham dello scorso anno, ma forse qua c'è una base solida per rinconfermarsi: giocatori come Said Benrahma hanno iniziato con una produttività che lo scorso anno non si era vista (e sicuramente non con continuità) e questo potrebbero aiutare a fronteggiare un possibile calo a livello di numeri (intesi come gol segnati) che potrebbe verificarsi in alcuni giocatori, specialmente Tomas Soucek che comunque il suo continuerà a farlo, visto che ha una eccellente tempistica nell'inserimento offensivo.
Chi gioca ancora un buon calcio è il Wolverhampton, che però viaggia completamente al contrario del Tottenham: tre sconfitte per 1-0. Già l'anno scorso si produceva tanto e segnava poco, quest'anno per ora il problema sembra addirittura peggiorato. Contro il Manchester United domenica i Wolves hanno giocato a tratti benissimo, ma davvero negli ultimi metri fanno di tutto per non segnare. E quando sbagli così tanto, spesso sono gli avversari a trovare il gol (per giunta in modo beffardo come accaduto coi Red Devils, con Jose Sà davvero inguardabile). Raul Jimenez sembra esser rientrato abbastanza bene dopo il terribile infortunio ma non ha ancora trovato la concretezza in fase realizzativa, mentre Trincao sembra uno di quei giocatori che non vogliono segnare neanche con le cannonate. E così finora il trend è stato identico: tre partite con tanta produzione offensiva, ma senza mai riuscire a segnare. E se in porta hai Jose Sà (che pare essere persino peggio di Rui Patricio) allora sono guai.

LA LIGA. Quello che è (tra i Top 5) il campionato che mi appassiona meno in Europa è casualmente quello che a livello di simpatie mi sta dando le soddisfazioni migliori. Merito soprattutto del Maiorca, che da neopromosso sta dimostrando di avere un ottimo impianto tecnico e che clamorosamente nel gruppo di vertice dopo tre partite. Ma anche il Rayo Vallecano è riuscito domenica a sbloccarsi, quando invece aveva avuto un impatto choc col campionato.
La copertina però va allo scellerato Villarreal, che dopo il colpaccio dell'Europa League era partito con due scialbi 0-0. Domenica sera arriva la grande occasione per sbloccarsi e lanciarsi anche per le primissime posizioni, se riesci a battere l'Atletico Madrid nel proprio catino sei una squadra potenzialmente competitiva, in particolare in una Liga che dopo anni di spese ridicole (e indebitamenti imbarazzanti delle solite due) sembra finalmente in fase di ridimensionamento. Invece, al 95' Aissa Mandi e il portiere Geronimo Rulli confezionano uno dei disastri tecnici più beffardi degli ultimi tempi, per la disperazione assoluta (e giustificata) di Unai Emery. Davvero folle che un difensore centrale a 15 secondi dalla fine opti per un retropassaggio senza guardare e che un portiere lasci la propria porta così senza pensare. Emery è apparso buffamente comico nella reazione, ma al posto suo ogni altro allenatore avrebbe spaccato tutto: e sarebbe stato difficile dargli torto. 
E' un campionato in cui fioccano i pareggi: per capirci, dopo tre giornate solo la metà delle squadre hanno vinto almeno una partita. Per fare il paragone, dopo due giornate in Serie A le squadre che hanno ottenuto almeno una vittoria sono 11.
 
BUNDESLIGA. Altro campionato che ancora deve decollare, anche per la serie di cambi di panchina (cosa che lo accomuna alla Serie A): sostanzialmente le squadre della prima metà di classifica della scorsa stagione si sono un po' scambiate gli allenatori. A farne maggiormente le spese in questo avvio sono Lipsia e Borussia Monchengladbach, con entrambe le squadre che finora ne hanno perse due su tre e che non sembrano aver inquadrato ancora bene le idee dei nuovi allenatori. Si conferma già in maniera piacevole, pur con il "nuovo" impegno europeo già assaggiato, un ottimo Union Berlino, che potrebbe anche avere un Taiwo Amoniyi in rampa di lancio. Piacevolmente sorprendente anche l'inizio di stagione del Mainz, che specialmente in casa sembra avere un bel calcio ficcante e organizzato: dopo aver fatto impazzire alla prima il Lipsia per mezz'ora (per poi difendersi abbastanza bene), la squadra di Bo Svensson ha spazzato via il Greuther Furth nei primi 25 minuti di partita che ho avuto modo di vedere, dimostrando di poter essere anche più interessante da osservare rispetto agli ultimi tempi. Devo personalmente ancora inquadrare bene quanto sta succedendo al Wolfsburg, partito con tre vittorie tutte e tre col minimo scarto (ma a differenza del Tottenham qui un gol è stato subito) con Mark Van Bommel in panchina. Aver battuto anche il Lipsia questa domenica è sicuramente un bel colpo per l'autostima dei lupi. Autostima che invece (come ormai abitudine) non ha l'Hertha Berlino, club che ormai da diverso tempi sembra continuare a scherzare col fuoco: mentre i cugini sembrano volare su una nuvola, quelli dell'Hertha invece sono gli unici a secco di punti alla pausa delle Nazionali, nonché gli unici a doppia cifra per reti subite. C'è davvero poco da ridere.
 
LIGUE 1. L'ex campionato più equilibrato d'Europa (quando ancora non c'erano gli sceicchi e il massimo della dittatura sembrava essere il Lione di Aulas) è già a livello di vertice morto e sepolto dopo un mese: oltre a essere drogato da assurdi squilibri economici che poco c'entrano con la competitività che dovrebbe avere una lega sportiva, non aiuta il fatto che la prima, la terza e la quarta della classifica finale della scorsa stagione, ovvero le tre squadre che sulla squadra dovrebbero competere coi super-ricchi, siano riuscite a partire senza mettere a segno una vittoria che una nelle prime tre giornate di campionato. Tutte e tre sono riuscite a vincere in questo weekend, ma insomma ormai i buoi sono scappati e non esisterà una lotta per il titolo. 
Perlomeno questo weekend ci siamo evitati scene imbarazzanti come quelle viste nelle prime due trasferte del Marsiglia, entrambe piazzate nello slot d'orario della domenica sera, quello che sulla carta per i francesi è da considerare il "principale". Insomma, una figuraccia enorme in tutto e per tutto.
Interessante (quando certi pseudo-tifosi non si intromettono) la partenza del Nizza, con Christophe Galtier che sembra non sbagliare più un colpo dopo aver vinto clamorosamente il titolo lo scorso anno con il Lille: i rossoneri giocano bene, sono convinti di ciò che fanno e hanno già ottenuto due vittorie rotondissime contro lo stesso Lille e contro il disastrato Bordeaux.
In tanto "brutto", fanno bene invece le partenze di due squadre costruite con più idee che mezzi economici come Angers e Clermont, che ovviamente non terranno il passo di certi club ma che stanno mettendo in tasca punti importanti per puntare a una classifica tranquilla anzitempo e magari a qualche sorpresa a livello di piazzamento.
 
ELSEWHERE. C'è stato il primo Old Firm stagionale in Scozia. Nonostante l'influenza del maledetto virus, alla fine è stato il solito Old Firm da ultimi tempi, tanta corsa, tanta battaglia ma pochi spunti brillanti, garantiti specie nel primo tempo soprattutto dal bravo giapponese Kyogo Furuhashi. A decidere è stato però come prevedibile un corner con la zuccata devastante di Filip Helander, a dare la vittoria a dei Rangers debilitati pesantemente dal suddetto virus (tanto che non c'era nemmeno Steven Gerrard ad allenare). Continua a lasciarmi perplesso la strada intrapresa dal Celtic, col nuovo allenatore Ange Postecoglou che finora è sembrato poco elastico nel suo approccio alla squadra: specialmente nel disastroso preliminare di Champions League contro il Midtjylland (preliminari deludenti per entrambe le big scozzesi peraltro), il coach greco è sembrato esattamente ciò che Nuno Espirito Santo non è sembrato al Tottenham, ovvero uno con idee fondamentaliste che ha provato a imporre tutto e subito immediatamente, senza pensare al materiale che si aveva a disposizione e senza pensare che magari per non toppare una doppia sfida da dentro o fuori come quella sarebbe servito giocare un calcio più semplice e più "conosciuto" dai propri calciatori. In SPL in vetta al momento ci sono le due squadre di Edimburgo, ma ovviamente è solo questione di tempo per vedere le due squadre di Glasgow staccare tutte. Spiace soprattutto che il St. Johnstone (re di coppe della scorsa stagione a livello nazionale) non sia riuscito a entrare nei gironi di Conference League o Europa League.

Il Midtjylland appena citato ha subito un brusco stop nel weekend, perdendo la vetta della classifica in Danimarca in quella che invece è stata appena la prima vittoria in campionato per il Brondby, capace di qualificarsi per i gironi di Europa League ma che ancora era a secco in Superligaen. Hanno deciso di sbloccarsi alla settima partita e proprio contro la rivale più accreditata per strappar loro il titolo di campione.

Sorpassi un po' ovunque in Scandinavia, dove il livello tecnico più basso porta anche a campionati più equilibrati (e più divertenti). In Svezia siamo alla giornata numero 17 (su 30) e nel weekend si sono fermati sia il Djungarden capolista che il Malmo campione in carica: clamorosa la sconfitta del Djungarden contro il Sirius in lotta per non retrocedere, mentre il Malmo (ben allenato da John Dahl Tomasson) paga prevedibilmente i tanti impegni europei (per qualificarsi ai gironi di Champions League hanno giocato quattro turni preliminari, quindi otto partite infrasettimanali senza pause, sfiancante per una rosa non certo ampia come quelle di altri campionati) e che anche per questo ha perso due delle ultime tre partite. Per Tomasson la pausa delle Nazionali è un toccasana e paradossalmente adesso che la Champions League sarà più tosta (e più "inaffrontabile" per il livello tecnico dei campioni di Svezia), sarà meno sfiancante visto che queste partite non arriveranno puntualmente a ogni martedì o mercoledì e quindi ci sarà modo per ripartire bene anche nella lotta per il titolo. Ad affrofittare degli stop delle rivali è l'AIK, che chiude il weekend in vetta alla classifica in quella che è una gran bella lotta a quattro.

Impegni europei in Norvegia anche per il Bodo/Glimt, che però in quello che è un meraviglioso "derby a distanza" con il Tromso tra le squadre più a nord dell'Eliteserien deve lottare e soffrire per ottenere il successo per 3-2 e operare il sorpasso ai danni del Molde, sconfitto in casa del Kristiansund. Anche qui siamo alla giornata numero 17 su 30, esattamente come in Svezia.

In Svizzera continua la partenza a rilento dello Young Boys, mai convincente a livello interno in questo inizio di stagione (anche se è riuscito nell'ottenere la qualificazione ai gironi di Champions League): sembrava esser iniziata bene la partita contro il Basilea (che al momento era capolista, ora è stato superato dallo Zurigo) col gol di Jordan Siebatcheu, ma prima dell'intervallo Quentin Maceiras in maniera folle si fa ammonire due volte e allora la squadra di David Wagner perde il pallino del gioco e finisce per subire il gol del pareggio, firmato da Sebastiano Esposito, il quale sembra finalmente iniziare a trovare quella continuità che gli era mancata anche in Serie B (sono 4 i suoi gol in campionato, alle spalle solo dello scatenato Arthur Cabral, suo compagno di squadra, in vetta alla classifica cannonieri a quota 7).

Infine, è stata una domenica interessante in Belgio, dove il Club Bruges ha subito un clamoroso 1-6 in casa del Gent, che era anche partito parecchio male in campionato (anche qui con lo "zampino" dei faticosi preliminari europei, con la qualificazione ottenuta per i gironi di Conference League). Ho avuto modo di vedere l'ultima mezz'ora della partita tra Genk e Anderlecht e, in un quadro magari un po' scellerato a livello tattico, c'è stato parecchio da divertirsi con una partita apertissima, piena di occasioni e di ribaltamenti di fronte. Sorprendentemente (visto che che Vincent Kompany mi sembra un po' un Arteta belga) l'Anderlecht se la giocava bene alla pari, con un Christian Kouamé costantemente pericoloso, ma alla fine è stato il Genk ad avere la meglio con una splendida combinazione tra Kristian Thorstvedt e Ike Ugbo, con quest'ultimo a segno per la prima volta in questo campionato. Insomma, anche quando Paul Onuachu non incide, proprio il suo sostituto Ugbo dopo appena cinque minuti dal suo ingresso in campo riesce a essere decisivo, in una squadra che è piena di giocatori interessanti e divertenti da veder giocare (il mio preferito è l'ala giapponese dinamicissima Junya Ito). E' una Jupiler League finora pazza, tanto che in vetta (e dopo sei giornate, non dopo due o tre) troviamo nientemeno che il Royale Union Saint Gilloise, ovvero una neopromossa che mancava a questo livello da 48 anni: insomma, ci si può divertire, entusiasmare ed emozionare anche non seguendo le solite super-ricche, non pensate?

giovedì 1 luglio 2021

Sfida tra i ghiacci: agghiacciande (come direbbe qualcuno)

Seagal eroe ecologista ha credibilità nulla e ovviamente il tema dell'ecologismo è un pretesto per la solita raffica di esplosioni della fase finale del film: tipico Seagal-movie usa e getta, dalla scrittura rozza che si lascia dimenticare in fretta.

Steven Seagal paladino dell'ecologia solo a pensarci fa scompisciare dal ridere, un po' come se Massimo Boldi si ergesse a paladino della raffinatezza.
Ovviamente poi il tema pseudo-ecologico è appena abbozzato ed è solo un pretesto (puramente ridicolizzato) per cambiare minimamente scenario e poi spargere sangue come il tipico Seagal-movie, qui non a caso deus ex machina in toto essendo anche regista e tra i produttori.
 
A far specie in questo film è che a fare da contraltare al nostro "grande eroe" è una vecchia volpe come Michael Caine, che deve impersonificare un personaggio completamente banale come quello del petroliere affarista che se ne strasbatte di tutto pensando solo ai suoi ricavi, ma riesce comunque a innalzarlo rispetto al livello del film con alcune frasi perfide e ciniche, dimostrando di meritare un altro genere di scrittura: d'altronde, che Michael Caine sia attore vero a differenza di Steven Seagal non lo si scopre certo con questo film.
 
In un quadretto del genere non poteva certo mancare R. Lee Ermey, manco a dirlo al comando in stile generalesco nella caccia abnorme che la compagnia petrolifera compie per zittire Seagal, il quale finisce persino a far comunella con gli eschimesi in una fase di film buttata lì a casaccio in attesa dell'esplosione di violenza finale.
E come previsto le scene action sono tanto piene di esplosioni e di fuoco quanto prive di una minima creatività, non creando un minimo di tensione né tantomeno di adrenalina: e per arrivarci c'è da fare una faticaccia per mantenersi svegli, anche se non mancano alcuni elementi di comicità involontaria (il covo di Seagal attrezzato per far guerra a un'intera Nazione è delirante).
 
Il colmo arriva nell'epilogo, quando Seagal ci regala anche un monologo straordinariamente banale che sembra scopiazzato da Wikipedia, se non fosse che nel 1994 Wikipedia non esisteva ancora (ascoltare per credere).
 
Insomma, il solito action usa e getta per passare un paio di ore a vedere stuntman volare e fiammate di ogni tipo, che non ha nulla per lasciare il segno e che si segnala solo per la rozzezza della sceneggiatura.
 
Nel cast in un ruolo abbastanza importante (è il braccio di Caine nella ricerca e caccia di Steven Seagal) da segnalare la presenza di John C. McGinley, ai tempi relegato in ruoli di secondo piano provando faticosamente a mettersi in luce (l'anno dopo avrebbe avuto un ruolo anche in Seven), cosa che poi avrebbe fatto in maniera brillantissima nel ruolo cult del Dr Cox di Scrubs.
Nel cast da evidenziare anche la presenza di Billy Bob Thornton, qui decisamente meno incisivo di quanto sarà anni dopo nella prima stagione della serie tv Fargo.
 
Voto: 2

lunedì 28 giugno 2021

Io sono Nessuno: Bob Odenkirk ancora impeccabile

Nella giungla di action poco creativi, diretti (e recitati) col pilota automatico, ogni tanto spunta qualche mosca bianca: violenza e morti arrivano a raffica, ma in parallelo c'è anche una buonissima dose di ironia (grazie allo straordinario Bob Odenkirk, ma gustosa anche l'apparizione di Christopher Lloyd) per un film elettrizzante e divertente.

La mancanza generale di creatività e originalità nel cinema americano ha danneggiato e saturato un po' tutti i generi, ma due in particolare sono usciti con le ossa rotte, portando alla visione di tantissimi film frustranti se non proprio inguardabili: la parodia-demenziale e l'action.
Quest'ultimo genere in particolare ha visto negli anni l'uscita di una marea di pellicole sostanzialmente difficilmente distinguibili, tanto poca è la creatività riscontrabile in essa: variano minimamente i plot e soprattutto le scene portano a un continuo senso di già visto parecchio fastidioso e completamente lontano dall'elettricità che invece questo genere dovrebbe portare allo spettatore.
 
Nella giungla di action poco degni di nota ogni tanto spunta una mosca bianca: magari a livello di plot e trama è difficile inventarsi qualcosa di nuovo, ma si può comunque garantisce una visione divertente e intrigante grazie a una buona direzione e un'ottima recitazione, che non vadano avanti apparentemente col pilota automatico come troppo spesso succede.
Ecco, "Io sono nessuno" (per una volta il titolo italiano si discosta, pur poco, dal titolo originale "Nobody" senza fare danni, visto che proprio il protagonista nel film pronuncia questa frase) è la classica mosca bianca, che magari viene vista senza particolari pretese e porta a 90 minuti circa di visione finalmente realmente elettrizzante e molto divertente.
 
Ovvio, con il solito senso di esagerazione, non mancano sparatorie e esplosioni gigantesche, non mancano morti a raffica e una dose clamorosa di violenza, ma quando il film è girato in questo modo tutto ciò non diventa un fastidio, anzi diventano proprio una parte del divertimento. La regia di Ilya Naishuller ha una buona mano e una discreta creatività e porta subito lo spettatore a impattare in modo positivo col film, che poi schiera in prima linea quello che (soprattutto a livello televisivo con le sue apparizioni in Breaking Bad e Better Call Saul, ma evidentemente anche a livello cinematrografico) sta diventando sempre più una sicurezza di intrattenimento, col suo viso normalissimo (perfetto per il "signor Nessuno" che sembrerebbe apparire dal modo inerme con cui affronta la rapina di inizio film) e la sua capacità di riuscire a infilare sempre e comunque una dose di ironia che non è eccessiva né finisce per cozzare col tema del film, anzi diventa un accompagnamento gustosissimo: parliamo di Bob Odenkirk, attore che ormai ha trovato uno stile specifico che modifica leggermente a seconda del personaggio e che proprio per la sua unicità è diventato un elemento eccellente a livello recitativo. Ancora una volta la sua prova è semplicemente impeccabile ed eleva ulteriormente un film girato con gusto, in grado di appassionare e divertire.
 
Non sarà certo una pellicola in grado di entrare nella storia del cinema, difficilmente lo vedremo in qualche "Top 100" di genere di qualche critico e/o esperto, ma altrettanto difficilmente si troverà uno spettatore non totalmente allergico al genere action che si annoierà alla visione.
 
E il film non è solo Odenkirk, perché tra i personaggi secondari ritroviamo (nel ruolo del padre del protagonista) una vecchia gloria come Christopher Lloyd: se inizialmente sembra relegato al classico ruolo senile di vecchietto da accudire, col passare dei minuti l'ex Emmett Brown prenderà bene la sena risultando una splendida arma in più nell'arsenale del film.
 
Insomma, pretendere troppo di più da un film del genere è eccessivo. Finché ci si diverte, tutto va bene e il voto per forza di cose diventa positivo.
Voto: 8

domenica 27 giugno 2021

La banda dei tre: Bocci-atissimo

Tentativo di noir all'italiana low cost e soprattutto basso a livello di idee e di scrittura, con un pastrocchio che viene "impreziosito" dall'ennesima prova da cane attoriale di Marco Bocci. Inguardabile.

Una delle fotografie dell'abisso culturale che sempre più si sta creando in Italia? Il pensare che questo incredibile scempio di scrittura che è "La banda dei tre" è tratto da un libro, di Carlo Callegari: se già a livello visivo il risultato è questo, chissà che imbarazzo a leggere il libro.
Il film è un tentativo di noir all'italiana, in cui le poche cose buone vengono totalmente devastante da uno script letteralmente osceno, pieno di luoghi comuni e senza lo straccio di un'idea passabile: esempio, quando non si ha nulla da dire, tirare fuori la storiella dei russi cattivoni fa sempre comodo.
Le idee sono talmente poche che per allungare il brodo e arrivare alla durata dei 90 minuti vengono abbozzate stupidaggini di ogni tipo, come la violenza domestica sulla cameriera (che il protagonista conosce in un modo ridicolo) che viene messa lì a mò di barzelletta, in un minestrone insipido che vede anche dei momenti semplicemente incredibili, come i deliri para-religiosi del criminale devotissimo alla Madonna o come il padre del "nano" che appena entra in scena vede partire in sottofondo delle assurde e oscene risate finte da sit-com (scelta incompensibile all'interno della "storia").
 
E' per questi e tanti alti motivi che "La banda dei tre" finisce per essere un film sostanzialmente uscito sotto silenzio e ignorato da tanti, per un prodotto low cost che peraltro non avrebbe tutto da buttare. La regia affidata a un carneade come Francesco Dominedò è (a parte l'assurdità delle risate finte all'ingresso di "Babbo Natale") perlomeno competente: nulla per cui strapparsi i capelli, ma nemmeno quella serie di assurdità finte-pop giovanilistiche che vanno di moda oggi per provare a creare ritmo in prodotti senza appigli, finendo per portare invece a una direzione che non è per nulla dannosa ai livelli della visione, anzi proprio la regia è ciò che impedisce a uno spettatore di staccare in anticipo il film quando (dopo una ventina di minuti) si era capito che la storia non aveva proprio nulla da dire.
 
Nel disastro si può salvare anche la prova di qualche attore che solitamente in questo genere di ruoli invece annaspa. Parlo soprattutto di Carlo Buccirosso, eccellente spalla di Salemme ma che in passato aveva dimostrato di non essere particolarmente portato al genere del noir: qui invece di esperienza riesce a elevarsi nel grigiore generale.
Discorso simile per Francesco Pannofino, eccellente doppiatore che però da attore (a parte un ruolo strepitoso per cui gli sono e sarò riconoscente per sempre, quello di René Ferretti nel mitico Boris): qui al contrario dimostra di essere in parte e di inquadrare in modo per me sorprendente il personaggio, che pure era stato scritto in maniera disastrosa (vedi i già citati deliri para-religiosi) con cliché a non finire.
 
Questo per trovare qualcosa di positivo in un quadro insalvabile, devastato anche dalla sballatissima scelta del protagonista. Se il titolo parla di banda dei tre, il protagonista assoluto è invece Marco Bocci, elemento che misteriosamente viene considerato ancora "attore" e che trova ancora dei ruoli (anche importanti, visto che è stato un volto di punta di una delle rare fiction televisive italiane degne di nota come Squadra Antimafia, anche se pure lì il 90% delle sue espressioni facciali specialmente nelle scene di azione risultavano indescrivibili) pur essendo assolutamente un cane a livello recitativo. Qui dimostra che negli anni non ha imparato proprio nulla e che evidentemente in Italia conta molto più avere santi in Paradiso che avere qualità: non sono così negativo da pensare che in questa Nazione non ci siano attori più capaci e competenti di questo, che tra coloro che restano con pochi lavori e che non riescono a sfondare non esistano volti più adeguati.
 
Insomma, catastrofe totale, che si chiude degnamente con l'apparizione da "guest star" di Pupo: già. Bocci-atissimo.
 
Voto: 1

martedì 22 giugno 2021

Il silenzio dei prosciutti: al Greggio non c'è mai fine

Talmente brutto, sciatto e scriteriato da essere diventato un vero e proprio trash-cult movie. 
 

Uno dei più grandi e profondi misteri oscuri della storia italiana è sicuramente la misteriosa carriera ultra-decennale di Ezio Greggio. Partito a fare dei tormentoni cretini al Drive In, finito a toppare puntualmente a ogni sua prova da attore, per motivi che prima o poi sarei curioso di sapere (anche se pare chiaro che c'entri parecchio il conoscere le persone "giuste" e saper entrare nelle grazie di codeste persone) Greggio è diventato uno dei volti di punta nel totale pattume televisivo e nel degrado culturale che è il gruppo Mediaset.
In questi vari passaggi, tacendo di alcune storielle personali piuttosto imbarazzanti, un capitolo incredibile è il tentativo di Greggio di sfondare a Hollywood, sfruttando (toh) una serie di amicizie altolocate. Tentativo, manco a dirlo, fallito grossolanamente.
 
Il suo primo film da regista è diventato nel tempo uno "scult" colossale, essendo uno dei più brutti e scriteriati film mai visti: ormai per tanti "Il silenzio dei prosciutti" è entrato nell'immaginario come uno dei film più sconci di sempre, talmente sconcio da avere assolutamente nella collezione e da vedere se possibile in lingua originale, per comprendere al meglio la pochezza delle trovate. Già, perché un po' come Calà in Chicken Park, il film è stato girato in inglese e non in italiano, tanto era alta l'ambizione del progetto: pensa un po'.
 
Qualcuno (bisognerebbe capire bene chi) mise in testa a Ezio Greggio di avere una somiglianza con Anthony Perkins e così il "nostro" si fissò in testa l'idea di proporre una parodia di Psycho, anche se poi i produttori lo costrinsero a modificare il progetto e concentrarsi anche sul più recente Il silenzio degli innocenti: nasce così il pastrocchio totale, con "The Silence of the Lambs" che diventa "The silence of the Hams" (che risate).
 
Non bastasse una scrittura incasinata e imbarazzante, che punta su gag visive da due soldi spesso e volentieri basate tristemente su una sballata ironia di genere (il protagonista che dorme con la vestaglietta da donna per dirne una, risate grasse!), Greggio sbaglia totalmente anche la scelta dell'attore protagonista, con il ruolo di Jo Dee Fostar (altre risate infinite) che finisce sulle spalle di Billy Zane, che tra l'altro non troppi anni prima era stato tra i bulletti di Ritorno Al Futuro - Parte II, ma che in questo film se la gioca con lo stesso Greggio per ottenere lo scettro di peggior cane della pellicola.
A rendere ancora più misteriosa la portata del progetto subentra un elenco infinito di volti noti o comunque importanti che compaiono con ruoli più o meno ampi: basti pensare che qui appaiono registi come Joe Dante, John Carpenter e John Landis, senza dimenticare ovviamente lo stesso Mel Brooks, che più avanti sarebbe diventato anche co-protagonista di un altro pessimo progetto hollywoodiano di Greggio, un ruolo che evidentemente convinse Brooks che non era più il caso di far cinema in nessuna veste.
E così tra i vari "F-B-Ahiiiii" vediamo in ordine sparso Shelley Winters, Bubba Smith, John Austin (con tanto di "Mano" che diventa un Piede, rinominato in lingua originale "Smelly Thing" visto che nell'originale della Famiglia Addams la Mano è chiamata semplicemente "The Thing") o Martin Balsam (che fa la parodia di sé stesso in Psycho, tanto da regalarci un "Ancora?!?!" quando "muore" allo stesso modo del capolavoro di Hitchcock), passando per un grande comico come Dom DeLuise, con il suo Dr Animal Cannibal Pizza davvero mortificato da uno script mai all'altezza del suo talento.
 
Magari alcune trovate potrebbero essere così demenziali e stupide che in mano ad altri registi sarebbero anche risultate simpatiche (alcune, poche, di certo non tutte perché la maggior parte sono proprio insalvabili), ma il quadro è talmente sciatto che queste portano solo a momenti trash e/o imbarazzanti, che sfociano in un finale completamente scriteriato che quasi vorrebbe rifare Invito a cena con delitto, solo in maniera totalmente sballata e senza un minimo di raziocinio, senza un minimo di senso. Le idee sono talmente poche che i titoli di coda partono dopo 75 minuti: e per arrivare a questa durata s'è dovuto far ricorso di scempiaggini indicibili.
 
Insomma, al Greggio non c'è mai fine.
Un lavoro talmente sconclusionato che è impossibile anche dare un voto: semplicemente risulta incredibile che una roba del genere sia potuta uscire, che sia stata prodotta e addirittura con ambizioni "internazionali". Resta però uno dei titoli imprescindibili in una cineteca del trash che si rispetti.

sabato 19 giugno 2021

Easy Six: Sands si insabbia malamente

Una sceneggiatura che riesce a essere allo stesso tempo sciatta e caotica appesantisce un film davvero mal strutturato. Si salva solo Jim Belushi.

Easy Six è il classico esempio di film fatto di poche idee ma molto confuse.
 
Julian Sands impersona un professore di college di mezza età incaricato da un amico di andare alla ricerca della figlia, nonché alunna dello stesso professore. La ritrova a Las Vegas a lavorare da prostituta e pensa bene di andarci a letto. Non solo, inizierà una relazione con questa ragazza che lo porterà al disastro personale e professionale.
 
A prevalere su tutto è una certa sciatteria, sia nella messa in scena (pigrissima tanto da portare alla noia) che nella sceneggiatura: sciatteria di scrittura che si combina a un totale caos strutturale, per un mix disastroso.
Si fa fatica a capire la strada che vorrebbe prendere il film, che inizia con i pensieri moralisti da quattro soldi del protagonista, vira malamente sul dramma personale non riuscendo a marcare con alcuna incisività la psicologia dei personaggi (anche a causa di dialoghi perlopiù insulsi) e nel finale sfocia in una conclusione thrilling messa lì senza nessuna convinzione.
La regia fiacca di Chris Iovenko (che non a caso non dirigerà nessun altro lungometraggio nella vita) non aiuta di certo, per un film che va avanti con una opprimente caoticità, tanto che la durata breve degli 86 minuti (e i titoli di coda partono parecchio prima, effettivamente non si supera gli 80 minuti) risulta essere ben più pesante agli occhi dello spettatore.
 
C'è davvero poco da salvare. Katharine Towne (la fanciulla di cui il personaggio di Julian Sands si invaghisce) è un bel vedere, ma da lì a breve abbandonerà la carriera da attrice ed evidentemente non è poi così capacissima a livello recitativo. Le uniche sequenze simpatiche riguardano così Jim Belushi, con la sua assurda e surreale ossessione-odio per Elvis Presley.
 
Insomma, un film di Serie B ma che meriterebbe una categoria ancora inferiore.
 
Voto: 3

lunedì 14 giugno 2021

Scappiamo col malloppo: inspiegabilmente un flop

Film sottovalutato (fu un grosso flop al botteghino) ma parecchio spassoso, con un Bill Murray in grande forma e semplicemente straordinario nella rapina. Poi subentra una serie di personaggi secondari perlopiù azzeccati, con anche volti famosi come Tony Shalhoub (lungi dal diventare Monk: non dice una parola in inglese!) e Stanley Tucci


Ci sono film bruttissimi che per motivi strani diventano dei successoni (o diventano addirittura "cult movies") senza meritarlo minimamente. E film che nascono male, diventano dei flop enormi all'uscita al cinema e che invece avrebbero meritato attenzione decisamente diversa da parte del pubblico.
"Scappiamo col malloppo" (solita scelta straomboide dei titolisti italiani, ben più efficace l'originale "Quick Change") appartiene decisamente alla seconda categoria: è un film stranamente sfortunato, nonostante tutto sommato abbia tutte le componenti per essere un film degno di nota. Un motivo su tutti: un Bill Murray così (purtroppo) non lo si è visto spesso sul grande schermo.
 
Si parte subito alla grande, con Bill Murray modello Al Pacino ne Quel pomeriggio di un giorno da cani a entrare in banca cammuffato da clown per compiere una rapina: lo fa ovviamente in uno stile tutto suo, con un'ironia sopraffina e strafottente specialmente nei confronti del poliziotto (un Jason Robards che lo braccherà per tutto il film), immenso quando convince un ostaggio presuntuoso e pieno di sé (Jack Gilpin) a cedergli un orologio prezioso per appena 300 dollari.
Il piano curato nei dettagli voleva la fuga del rapinatore uscendo dalla banca facendosi passare per ostaggio, insieme ai due complici Geena Davis e Randy Quaid. Tutto andrà liscio per gli autori del colpo? Ovviamente no, perché si troveranno di fronte a situazioni paradossali e assurde e quella che doveva essere una fuga da New York in tutto silenzio diventa una disavventura negli angoli più tortuosi della città, tra taxi, edicole, autobus (strepitosa la parte con il pignolissimo autista) e persino un'involontaria irruzione in un covo di mafiosi.
Ovviamente non tutte le situazioni sono brillanti al massimo, ma in generale il film mantiene un tono scanzonato e bizzarro che intrattiene e in alcune parti diverte parecchio, con Murray che regge benissimo la scena e con Quaid che si ritaglia un paio di buoni momenti, anche se Geena Davis non sembra centratissima nel personaggio, quasi avesse preso la propria parte in un modo eccessivamente serioso.
 
Poco male, perché a tenere alta l'attenzione c'è un cast secondario ampio e con nomi anche di buon rilievo: ho già citato Jason Robards e Jack Gilpin (noto soprattutto al pubblico televisivo), ma nel film vedremo persino un volto come quello di Stanley Tucci (pochi minuti ma incisivi), così come nel finale appare anche il sempre irascibile Kurtwood Smith (reduce da poco dall'apparizione in Robocop e che qualche anno dopo avrebbe trovato una buona ribalta nella serie tv That '70 Show). Ma a sorprendere di più è l'apparizione nel ruolo del taxista mediorentale di Tony Shalhoub, ancora agli inizi della carriera, degli inizi che lo portavano a delle particine secondarie e sempre abbastanza stereotipate viste le proprie origini, per un attore che avrebbe trovato il proprio personaggio cult nel Detective Monk (una sorta di meraviglioso Colombo ossessivo-compulsivo): gli viene assegnato un ruolo parecchio sciocco, tanto che per tutto il film non lo si sentirà pronunciare una parola in inglese (o nella lingua del doppiaggio, per chi guarda il film non in lingua originale) ma già così riesce a far vedere una mimica notevole.
 
Ovvio, non siamo ai livelli da capolavoro della comicità, ma questo film è una commediola che scorre in maniera parecchio spassosa e che non manca di lasciar sottointendere degli aspetti non del tutto positivi di New York (il personaggio di Bill Murray è parecchio critico sulla vita newyorchese).
Da ripescare.
 
Voto: 7,5

giovedì 10 giugno 2021

7 volte 7: Moschin al comando

Film godibile che miscela bene i toni dell'heist movie con una serie di situazioni da vera e propria farsa, risultando decisamente interessante. Su tutti spicca uno straordinario Gastone Moschin, ma degna assolutamente di nota è anche la prova di Adolfo Celi, pur in un personaggio decisamente secondario.
 

 

7 volte 7 inizia subito forte. Siamo in una prigione londinese e i detenuti organizzano una protesta, scatenando le ire e le sadiche reazioni di un immenso Adolfo Celi nelle vesti del direttore, spettacolare nei suoi annunci via interfono.
Sei di questi detenuti finiscono in infermeria e approfittando di una Londra paralizzata dalla finale di FA Cup di calcio, ne approfittano per un'evasione organizzata ai minimi dettagli, tranne per la presenza di un intruso come Lionel Stander, a portarci ai sette elementi del titolo.
Ma è una "semplice" evasione? Assolutamente no. In realtà l'intento è quello di finire alla zecca di stato per stampare uno svariato numero di banconote (arriveranno a due milioni di sterline), senza fare ricorso alle maschere di Salvador Dalì.

Si entra nei meccanismi di un film ben congeniato e capace di intrattenere in maniera più che dignitosa, giocando a metà tra il classico heist movie e la farsa, con buona tensione ma con ottimi momenti sarcastici miscelati. Tra i protagonisti, da citare assolutamente un ineffabile Gastone Moschin, semplicemente impeccabile col suo inimitabile sguardo di ghiaccio, così come straordinario nel suo ruolo di "disturbo" risulta il Sam di Lionel Stander, mentre Raimondo Vianello risulta forse un po' eccessivamente ingessato nel suo ruolo.

Tra una situazione beffarda e l'altra (vedi la vecchietta che si imbatte suo malgrado nella banda), un ruolo centrale ha la partita di calcio che paralizza la città, tanto che persino le guardie finiscono per distrarsi più volte a guardarla. E' un quadro non certo incoerente, vista l'importanza che ha sempre avuto la finale di FA Cup per gli inglesi, in particolare negli anni '60. Nel film si parla di una finale tra Everton e Sheffield Wednesday, che in effetti più o meno in quegli anni (il film è del 1968) ci fu realmente, esattamente nel 1966 (pochi mesi prima del Mondiale e del gol fantasma di Geoff Hurst): nel film però la partita ha uno svolgimento diverso dalla realtà, visto che ad andare in vantaggio per 3-2 è lo Sheffield Wednesday, andando a subire il gol del pareggio sul filo di lana con la partita che finisce ai tempi supplementari. Nella realtà invece la finale del '66 finì per 3-2 ma per l'Everton, che rimontò uno svantaggio di due gol: distorcimento ai fini di trama probabilmente, anche perché i pochi nomi dei calciatori che si sentono citati (in particolare nella lettura delle formazioni) sono aderenti alla realtà, così come accadde realmente l'invasione di campo che viene raccontata dal telecronista. Anche se, per un purista, sentire qualcuno parlare de "lo Sheffield" dà un filino di fastidio (un po' come quelli che parlano de "il Manchester").

A parte questo è un film godibile, che scorre bene e che ha davvero pochi difetti: forse il maggiore di questi consiste nella colonna sonora che, seppur godibile, risulta un filo troppo invadente in alcuni passaggi.
Il voto? Ovviamente un... 7

mercoledì 9 giugno 2021

Il metodo Kominsky: la serie Netflix più matura (in tutti i sensi)

Bello ritrovare un Michael Douglas in questa forma: serie bellissima.


Andando un po' fuori dal proprio target, Netflix ci regala una serie decisamente deliziosa.
Ne Il metodo Kominsky infatti vengono affrontati i vari problemi della terza età, ma una scrittura con punte di notevole sarcasmo e la grande interpretazione dei due protagonisti permette di non vedere questi problemi in modo "pietoso", bensì si riesce a ridere su argomenti davvero delicati.
Una scrittura eccellente, una regia che permette puntate svelte ma non a ritmo eccessivo (un ritmo che probabilmente sarebbe stato poco adeguato all'ambiente), sono combinate a due mostri sacri che mostrano un affiatamento eccellente e dimostrano di essere in eccellente forma: Michael Douglas e Alan Arkin dominano la scena e regalano duetti decisamente memorabili.
In particolare è bello vedere uno come Douglas ancora in grado di essere così pungente e così incisivo, capace di dominare ancora la scena in questo modo: il volto sarà scalfito dalle rughe, lo sguardo sarà un po' invecchiato, ma il carisma di un grande come lui resta intatto.
Si ride tanto ma non è certo una serie sguaiatamente comica: si tratta di una serie agrodolce e intelligente nel trattare i vari temi. Una serie che magari non sarà apprezzata dai teenager a cui solitamente si rivolge Netflix (banalizzando certi prodotti), ma che è assolutamente da vedere.
Il numero limitato di puntate (8 per ognuna delle due stagioni) permette anche di non avere puntate dispersive.
Il livello poi resta decisamente alto per tutte e tre le stagioni, compresa la terza in cui Douglas si ritrova senza la spalla Alan Arkin (ma lo stesso non mancano dei duetti gustosi, in particolare con Kathy Bates), per una serie che resta una vera chicca nell'insieme delle serie tv targate Netflix.

giovedì 22 aprile 2021

Estraneo a bordo: disavventure spaziali

Viaggiando a ritmi volutamente compassati, si riesce a toccare buoni livelli di intensità e il risultato risulta interessante. La buona prova dei quattro attori coinvolti porta a un film decisamente solido.

La quantità oggettivamente eccessiva di film "usa e getta" che sono stati prodotti nel tempo da Netflix ha reso tanti (tra cui me stesso) piuttosto prevenuti al momento di affrontare la visione di una pellicola realizata dalla piattaforma di streaming.

In casi come "Estraneo a bordo" però bisogna capire cosa si pretende di vedere: ogni film dev'essere per forza un capolavoro indimenticabile o si può anche apprezzare un film più "normale"?
Le prime recensioni viste sui siti americani, infatti, con puntualità svizzera sono finite a stroncare questo film, che in realtà alla fin fine non è per niente male.
Probabilmente per molti americani l'assenza di spettacolarità fine a sé stessa porta un prodotto a risultare mediocre, invece proprio i toni sommessi sono il punto di forza di questo film, che riesce a creare un bel livello di tensione all'interno delle disavventure affrontare dai protagonisti, senza usare nulla di particolarmente esagerato o eccessivo. I ritmi procedono in maniera lenta ma con una bella costanza e lo spettatore si immedesima bene nei panni dei personaggi, portando a un intrattenimento assolutamente all'altezza della situazione.
 
La chiave del film è proprio la presenza dell'estraneo del titolo italiano (evidenziato in maniera più efficace dal titolo americano che è "Stowaway", ovvero "passeggero clandestino", che fotografa ancora meglio la situazione), con Shamier Anderson (che per certi versi anche all'interno del cast ristretto di quattro attori è quello decisamente meno noto) che suo malgrado si ritrova all'interno di una navicella partita per una missione biennale su Marte, portando a una situazione di assoluto pericolo per i tre membri dell'equipaggio previsti: la navicella infatti era stata costruita per due persone e già era una forzatura inserirvi all'interno un terzo componente, rendendo quindi insufficiente la riserva di ossigeno presente, ancora più insufficiente dopo alcuni imprevisti che colpiscono l'equipaggio. Allora che fare? La soluzione più "immediata" sarebbe quella di lasciar morire l'intruso, soluzione però non certo accolta in maniera semplice dall'equipaggio che allora le tenterà tutte.
 
Il film gira bene, con una sceneggiatura volendo abbastanza spoglia, che però soprattutto evita di inserire elementi futili, lasciando lo spettatore immerso continuamente nella storia. Il film per un buon 70% della sua durata si svolge all'interno della navicella, ma non sono male a livello tecnico le scene esterne più tipicamente da sci-fi, per un prodotto che tutto sommato si può definire estremamente solido, anche per una prova parecchio professionale del cast.
Se magari Toni Collette (solitamente straordinaria) in questo caso si limita a recitare col pilota automatico inserito, a spiccare piacevolmente è Anna Kendrick, che ancora una volta mostra una bella capacità di rendere empatico il proprio personaggio e che risulta credibile anche nelle scene all'esterno della navicella. Molto buona anche la prova del redivivo Daniel Dae Kim, noto ai più per aver dato il volto a Jin-Soo Kwon nella serie tv Lost.
 
Alla fin fine, senza spiccare il film si fa vedere piacevolmente: d'altronde, se in Italia a qualche scriteriato piaceva addirittura l'idea incresciosa della SuperLega di calcio, perché a me non può piacere questo "Stowaway"?
 
Voto: 7+

giovedì 15 aprile 2021

Raid - Una poliziotta fuori di testa: per una volta Boon non convince del tutto

Dopo un inizio discretamente simpatico (per quanto si segua una strada piuttosto canonica e non certo originale), il film diventa eccessivamente serioso nella seconda parte, finendo per avere il fiato corto.

Dany Boon è uno degli esponenti di spicco della commedia francese più "commerciale" e leggera, per la sua mimica e qualità attoriale e (da regista-autore) per la capacità di saper giocare con intelligenza e garbo sui luoghi comuni, riuscendo a far ridere con essi. Un cinema senza troppe pretese e per certi versi diretto, ma decisamente lontano dal becero che troppo spesso le commedie commerciali toccano in Italia, e per questo degno di stima.

In questo "Raid Dingue" (che nella distribuzione italiana deve diventare un banale e triste "Una poliziotta fuori di testa", per la mania tutta nostrana di stravolgere in modo patetico i titoli originali) però dimostra un difetto già visto in Supercondriaco (il suo film da regista cronologicamente precedente a questo), difetto che in questo caso risulta più penalizzante (visto che quel film sopra citato comunque restava di buon livello): ovvero una frustrante incapacità di rendere equilibrate la prima e la seconda metà del film, quasi come se l'idea su cui si poggia il lavoro finisse per avere il fiato corto e portasse a una seconda parte eccessivamente seriosa e non all'altezza di quella iniziale.
La differenza sostanziale è che se qui nella prima parte si sorride, in Supercondriaco si rideva tanto e quindi il giudizio finale finiva per essere più "permissivo" a fronte di questo grosso diretto.
 
Sì perché, pur non essendo da buttare via, la prima parte di questo Raid scorre bene ma non esalta e diverte come ci si potrebbe aspettare: le gag ci sono e finiscono per apparire simpatiche, ma manca un impatto forte che possa portare a divertirsi realmente. Oltretutto, si segue una linea piuttosto canonica (addestramento della recluta, avanzamento di carriera nonostante qualche disastro combinato dalla protagonista, e via dicendo) che sarebbe stata accettabile qualora il proseguimento del film sarebbe stato all'altezza.
Invece purtroppo qua si ha un cedimento piuttosto vistoso, con il film che finisce per non avere quasi più cartucce a livello umoristico e diventa troppo serioso, senza avere la dovuta profondità: la seconda parte diventa un miscuglio sentimental-action che proprio non convince e porta a un giudizio sotto la sufficienza.
 
Da attore, Boon in questo caso appare anche parecchio spento, forse per l'essersi ritagliato un ruolo sostanzialmente di secondo piano, visto che la protagonista assoluta è la poliziotta del titolo (italiano), peraltro interpretata in maniera anche decente da Alice Pol, che sembra avere quell'aria sia simpatica che imbranata che serve per il ruolo. Non è certo lei insomma il problema del film, anzi sembrava poter essere lei il motore comico della pellicola, ma purtroppo la sceneggiatura finisce per abbandonarla col passare dei minuti.
Simpatica la partecipazione di Michel Blanc nel ruolo del padre della protagonista, in grado di ritagliarsi un paio di scene discretamente gustose.
 
Ma in questo caso, la ciambella non riesce col buco e il film non soddisfa.
 
Voto: 4

mercoledì 14 aprile 2021

Il club dei divorziati: imperfetta commedia francese a la Apatow

Il genere alla Apatow (sia come stile che volendo per la trama, con i protagonisti 40enni immaturi) non si abbina benissimo con lo stile della commedia francese. A qualche buona trovata fa da contraltare un ritmo non perfetto e qualche passaggio a vuoto. Poco sotto la sufficienza.


Quando si prova a produrre un film dissacrante solo in apparenza ma fin troppo costruito nella realtà, il rischio enorme è quello di portare a una pellicola senza una vera e propria anima, soprattutto se poi lo stile cercato è piuttosto lontano da quello più conosciuto.
Le stimmate de "Il club dei divorziati" sono fin troppo ovvie: è un film che scopiazza i vari Apatow Movie provando a riportarli nei confini francesi, tanto che lo stile grossolano-demenzialemanontroppo e persino la stessa trama (con come protagonisti i soliti 40enni immaturi) sembrano usciti da uno qualsiasi dei film diretti o prodotti da Apatow. Uno dei problemi però è che questo stile storicamente non riesce bene ai francesi, straordinari nel giocare con la commedia con uno stile molto più raffinato e ricercato ma spesso in imbarazzo quando provano una via più sboccata-esagerata.
Oltretutto a penalizzare un film, che in sé per sé non è nemmeno malaccio, c'è una patina di ruffianaggine che è difficile scrollarsi di dosso: l'impressione chiara è che questa pellicola sia stata creata non per avere qualcosa da dire o per divertire in linea generale, ma proprio per piacere per forza a un possibile pubblico oltreoceano, specificamente quello americano. Tanto che alcuni riferimenti (come il "sono eccitato quanto Harvey Weinstein a un casting") appaiono forzatissimi: e appunto, appaiono davvero poco naturali, troppo studiati.
 
Non è certo tutto da buttare, alcune trovate sono anche divertenti, come la stalker con cui il protagonista Ben finisce a letto finendo per ritrovare il proprio volto tappezzato in tutta la città, o l'amica iper-protettiva e ultra-aggressiva, per un film che riesce a strappare più di qualche sorriso se non proprio qualche bella risata.
C'è però la chiara impressione di una regia incapace di maneggiare perfettamente questo genere di pellicola, portando a un ritmo altalenante, con anche qualche brutto passaggio a vuoto.
 
La domanda è: c'è proprio bisogno di scopiazzare gli americani proponendo film del genere?
 
Voto: 5

martedì 13 aprile 2021

Thunder Force: ennesimo insalvabile McCarthy-Falcone movie

Melissa McCarthy prova a contenersi più del solito e col marito Ben Falcone propongono un film decisamente meno grossolano del solito. Il problema è che ancora una volta non si ride mai.

Dopo averci propinato già insalvabili fetecchie come Tammy, The Boss e Life of the Party (nonché Superintelligence che vedo recensito egualmente male ma che non inserisco nella categoria per il semplice fatto di non averlo mai visto), la grande coppia Ben Falcone-Melissa McCarthy dimostra di non volersi fermare e ci riprova con questa parodia dei supereroi: il meccanismo non cambia, Falcone dirige e scrive (in questo caso da solo) appositamente per la moglie, con risultato ancora una volta pessimo. Ma evidentemente tra moglie e marito non bisogna metter dito e non c'è da sorprendersi se questa coppia continuerà a produrre altri film.
 
Una benché minima differenza rispetto agli altri film esiste: la vicenda è meno grossolana e la McCarthy tenta un umorismo un po' meno volgare del solito. Il fatto è che ha un problema piuttosto debilitante per un'attrice comica: non fa ridere. Ma proprio neanche per sbaglio. Thunder Force ci dimostra solo che (come in tantissimi casi) non è la volgarità in sé per sé il problema dei film comici americani di questi anni, il problema è che non c'è più senso dell'umorismo, che hanno perso del tutto il gusto della parodia e il senso del demenziale.
La McCarthy quindi prova a contenersi più del solito (pur non limitando del tutto certi accenni soliti), ma cambia poco nel giudizio e nell'impatto che dà all'occhio, perché portare avanti un intero film sull'unica idea delle due supereroi con insoliti lineamenti fisici non basta: vedere le due protagoniste sgraziate nell'entrare o uscire dall'auto non può bastare per far ridere. Manca tutto, mancano situazioni con appigli comici, manca la battuta a sé stante: e ci si annoia.
 
Sbagliata anche la scelta della spalla della McCarthy, perché Octavia Spencer è assolutamente una ottima attrice, ma dimostra di non essere portata per un film che vorrebbe essere divertente, finendo così per recitare col pilota automatico ma soprattutto per risultare eccessivamente ingessata.
Non va troppo meglio con gli antagonisti, soprattutto per "The King" Bobby Cannavale, che finisce per portare sullo schermo un cattivo troppo canonico e senza la necessaria ironia: l'unica gag che lo riguarda è ripetuta allo sfinimento e riguarda la sua incavolatura quando lo chiamano "King" tralasciando l'articolo "The", sai che ridere.
Un po' meno disastroso (ma comunque non in grado di salvarsi in un quadro generale così pessimo) è Jason Bateman, ma più per professionalità e esperienza personale che per il ruolo assegnatogli.
 
Così anche questo risulta essere un insalvabile McCarthy-Falcone movie: rispetto agli altri risulta essere meno pesante e meno frustrante, ma sempre troppo lontano dall'essere piacevole.
Anzi, di memorabile non c'è proprio nulla.
Resta incredibile pensare che Melissa McCarthy sia stata di recente in nomination per un Oscar: ma evidentemente nell'America di oggi chiunque si trovi a recitare in uno di quei biopic che ormai per assenza di idee producono in quantità industriale può finire tra le nomination per premi di quel livello.
 
Voto: 1

Junior: film mal concepito

Schwarzenegger è il primo a non credere nel film e alla prova dei fatti ha anche ragione, perché la sceneggiatura è spenta se non insulsa a tratti.

Rivedere oggi un film come "Junior" dà la sensazione di ritrovarsi di fronte a un reperto antiquato ben più antico dei 27 anni dalla produzione della pellicola, per come è cambiata (o sta provando a farlo) la società in alcune visioni e per il finto progressismo che caratterizza la vicenda, con una serie di sparate anche piuttosto ridicole ("solo Dio può sapere cosa succede lì dentro"...).
Il problema è che buttata lì l'idea che poteva anche essere buffa (Schwarzenegger incinto) gli autori non riescono a portare a nessuna idea simpatica, non premendo su nessun tasto con la necessaria convinzione. Poteva essere una favoletta impossibile, ma non lo è. Poteva essere un film ultra-demenziale, ma non ne ha lo spirito. E allora cos'è questo film? Appunto, nulla.
 
Schwarzenegger per primo risulta essere il punto debole del film, non tanto per il suo doversi adattare a un film in chiave ironica, quanto più perché egli stesso non crede minimamente di poter cavare un ragno dal buco da questa pellicola, mandando a monte in partenza ogni possibile appiglio.
In seconda battuta si torna agli autori, che buttano lì uno script raffazzonato con tante scene inutili e senza costruire nessuna gag simpatica, tanto che le uniche situazioni in cui si sorride arrivano dal facile aspetto surreale della vicenda. Alcuni dialoghi infatti risultano essere più che disastrosi, puntando unicamente su luoghi comuni sul genere sessuale che finiscono per essere pesanti se non proprio di cattivo gusto, per un film che cade in momenti di puro trash: uno su tutti, quando Schwarzenegger afferma con cattiveria "il corpo è mio e lo gestisco io".

Poco può DeVito, che si sbatte e riesce a risultare anche discretamente simpatico, mentre per cercare di strappare qualche risata gli autori portano Emma Thompson a tristi situazioni quasi slapstick.

Insomma, nella storia del cinema s'è riso anche su plot più paradossali e improbabili, ma questo succede quando lo script è all'altezza: questo non è il caso.

Voto: 2

sabato 10 aprile 2021

Pazzo per lei: una bella sorpresa

Senza strafare, è un film che riesce a inscenare una bella storia e a farlo con un bel tatto da parte degli autori: di originale c'è poco o nulla, ma non c'è alcuna scena che inceppa il meccanismo e il risultato finisce per piacere parecchio.

"Pazzo per lei" è un film che, pescato distrattamente all'interno del catalogo di Netflix, può finire per spiazzare lo spettatore.
Un film che nelle prime scene inizia come una commedia sentimentale scanzonata, quasi fracassona, con i due protagonisti a infiltrarsi in un matrimonio in una notte folle, ben presto ha una sorprendente virata che mischia sentimenti buoni (ma non certo superficiali) a un'atmosfera alla Qualcuno volo sul nido del cuculo per l'ambientazione all'interno della clinica psichiatrica (o "manicomio" come lo si sarebbe chiamato decenni fa), ovviamente senza voler avere la profondità di quello storico film.
Una virata che risulta essere molto più che un pretesto per far scorrere la storiella d'amore all'interno di mura insolite, perché (senza strafare) gli autori mostrano buon tatto nel descrivere i vari personaggi secondari, facendoci affezionare a essi pur senza inventare grandi trovate nello sviluppo dei personaggi, senza alzare in maniera eccessiva l'asticella e quindi senza mostrare premesse impossibili da mantenere.
 
Ne esce fuori un film onesto, in cui piace (e per certi versi "emoziona" pure) il rapporto tra i due protagonisti, che pure segue un filo non proprio nuovissimo ma che viene raccontato con un tatto non banale e capace di toccare il cuore dello spettatore, senza dimenticare il subplot da "rivincita degli ultimi".
In sostanza a spiccare non c'è nulla, a parte due-tre scene riuscite: è l'insieme che funziona bene senza intoppi portando lo spettatore ad appassionarsi e a "sperare" nell'happy ending.
 
Perché a volte non c'è nemmeno bisogno di inventare tanto per regalare un buon intrattenimento e magari scaldare anche qualche cuore più "freddo" (come può esserlo quello del sottoscritto).

Voto: 8,5

venerdì 9 aprile 2021

Ingrid va a ovest: film che non lascia indifferenti

La naturale apatia di Aubrey Plaza rende perfetto il personaggio di Ingrid, stalker figlia dei nuovi media, in un film che riesce in ciò che tantissimi falliscono: nel trattare con maturità e serietà le potenziali conseguenze dei mezzi social.
 

Raramente il tema delle pulsioni che possono essere figlie dirette o indirette dei nuovi media e network vengono riportate su schermo con la necessaria maturità: anzi, anche nel cinema o nelle serie più impegnate spesso e volentieri l'argomento è trattato con sufficienza, con macchiettismo, senza reale interesse e comprensione da parte di registi e autori (in Italia in particolare si sono visti in argomento totali disastri figli proprio dell'incapacità degli autori nostrani di sapersi correlare con la realtà, vivendo essi in una bolla a parte).
Una bella eccezione è invece questo "Ingrid va a ovest", che ci propone un quadro sicuramente romanzato ma decisamente più fedele e serio del solito non solo delle ossessioni che possono partire da un mezzo social (in questo caso la protagonista crea tutto questo per avvicinarsi a una ragazza "famosa" su Instagram), ma anche in seconda battuta delle finzioni che ci sono dietro quelle vite perfette all'apparenza con tutti quei sorrisi e quel "cibo perfetto" che sono l'immagine riflessa di una piccola parte di quotidianità distorta dai social network tanto in voga di questi tempi.
 
La Ingrid del titolo altri non è che una di quelle follower che tanto rendono importanti le "internet stars" di questi tempi, ma che allo stesso tempo per queste "internet stars" vale nulla. L'idealizzazione della vita di questa star inganna la psiche fragile di Ingrid, che così sogna di avvicinarsi a questa, di vivere come lei, utilizzando le tecniche classiche dello stalking, salvo poi agire con frustrazione malata al momento in cui verrà respinta.
Con uno stile un po' asciutto, quasi sommesso, piace il modo con cui viene portata la vicenda allo schermo, senza troppe estremizzazioni ma con un ritratto parecchio fedele di una realtà plausibilissima, con il rapporto contorto tra le due protagoniste e l'interferenza di svariati personaggi secondari.
 
Se è buono il lavoro a livello tecnico (regia/fotografia, ecc), sarebbe stato tutto vano se nei panni della protagonista Ingrid non ci fosse stata un'attrice all'altezza: e Aubrey Plaza nel riportare sullo schermo personaggi di questo tipo appare decisamente a suo agio, con quell'aria naturale quasi apatica e la funzionale inespressività che ricalcano perfettamente il carattere psicopatico del personaggio. In un film ben progettato, è proprio la Plaza l'aspetto migliore, spiccando straordinariamente senza per forza voler dare dei contorni "positivi" o simpatici al proprio personaggio.
 
Probabilmente non un film per tutti, visto anche che nei vari siti non mancano le stroncature (in particolare su IMDB), ma un film che difficilmente può lasciare indifferenti, in un senso o nell'altro.
 
Voto: 8-

venerdì 19 marzo 2021

Lockdown all'italiana: completamente vetusto

Fiacco, noioso, senza una minima idea e un minimo costrutto: esattamente, a quale pubblico si voleva puntare girando sta schifezza, che sembra un brutto episodio di una fiction più di un film?

Inutile provare (con un certo sciacallaggio) a inserirsi sul tema attuale del covid per cambiare le cose: questo è cinema italiano vetusto, con le ragnatele che spuntano a ogni angolo, stanco e fiacco da far paura. Con Lockdown all'italiana si tocca il fondo del fondo, tanto che le sceneggiature abbozzate di tanti film alla Franco e Ciccio o peggio ancora della commedia scollacciata delle dottoresse e liceali a confronto sembrano Shakespeare: già, almeno lì i vari protagonisti (a costo di ripetere sé stessi) provavano a mettere un po' di verve, mentre qui ci appioppano un Ezio Greggio che nemmeno più ci prova a ottenere qualche risultato cinematografico, quasi come se avesse accettato di apparire in questo film perché non aveva nulla di meglio da fare (o forse per far apparire in una scena brevissima la compagna attuale, con cui ha saputo "conquistare" alcune copertine di quelle riviste spazzatura di Serie Z di Cairo & Co).

In Lockdown all'italiana è tutto un disastro: Vanzina (come sempre fuori dal mondo) ci appioppa zinnone a caso senza ritegno, senza nemmeno pensare alla nulla serietà che può avere per uno spettatore attento il mostrare la data dell'8 Marzo 2020 e poi proporre Martina Stella a stendere panni sul balcone in shorts e top scollatissimo (sarà colpa del riscaldamento globale?). Così in un contesto del genere non stupisce la presenza di Maria Luisa Jacobelli (guai a sbagliare il nome e scriverlo unito in Marialuisa come è nella maggior parte dei casi, sennò la signorina si incazza pure), perfetto segno di cosa serve nel maschilista mondo dello spettacolo (all'italiana) per spiccare per una donna giovane: il talento? Sia mai. La raccomandazione (ovviamente è la figlia del Jacobelli direttore di Tuttosport, a proposito di giornali di alto livello) e una marea di fatture pagate al chirurgo plastico per farti sembrare una bambolona di plastica (dando alle ragazzine un modello di bellezza pessimo e lontano del tutto dalla grazia della normalità), messa lì per mostrare (appunto) le zinnone in reggiseno, recitando peggio della Corinna Negri di Boris of course.

Il guaio è che non si può nemmeno considerare questo filmaccio come una vanzinata: perché non c'è nulla. Già i tentativi di racconto sociale dei Vanzina da decenni erano fasulli, a fotografare un paese che esisteva solo per loro, mentre qua non ci si prova nemmeno, perché il riferimento al lockdown è giusto da inserire in locandina (con un paio di dialoghi di una superficialità più unica che rara).
Così come non esiste nemmeno più il tentativo di piazzare gag o qualcosa di apparentemente umoristica: i dialoghi sono insulsi, scritti in 5 minuti, e si sposano perfettamente con un ritmo registico inesistente.

E dire che Memphis e la Minaccioni non sarebbero nemmeno pessimi attori, ma in questo quadro disastroso non possono che affondare anche loro (la Minaccioni peraltro non merita nemmeno le giustificazioni d'ordinanza, essendo autrice della sceneggiatura insieme allo stesso Enrico Vanzina).

La storia? Ovviamente non si va oltre alle corna, ma qui il tutto viene immediatamente scoperto da entrambi i "cornuti", non dando nemmeno il "vecchio brivido" di vedere i cornificatori a provare a nascondersi: non c'è manco questo in questa schifezza che definire "film" è pure eccessivo, sembra più un episodio scartato di una pessima fiction.

Allora a che pro viene girato questo film? Quale sarebbe il pubblico a cui rivolgersi? Vorrebbe saperlo anche il sottoscritto, perché si fa fatica a capire chi possa apprezzare una tal roba, nemmeno gli amanti del trash più pessimo (quello da reality show e da tv Mediaset). E' semplicemente un tentativo di estorcere soldini a chi crede ancora a questo orrendo cinema italiano (che non è nemmeno più "cinema all'italiana"): se qualcuno ha l'ingenuità per cascare al tranello evidentemente non si merita niente di meglio.
Perlomeno chi ha avuto (come me) la scellerata idea di guardare questa porcata (da prevenuti e no) sta dando al film la valutazione che merita: su Filmtv al momento il voto medio è 1.6, su Imdb è 1.9. Giusto così.

Voto: 0-

lunedì 22 febbraio 2021

L'arte di arrangiarsi: presa in giro dei furbetti all'italiana

Sordi rappresenta perfettamente l'Italia dei furbetti e dei voltagabbana, in un film con una satira ancora clamorosamente attuale.


Può un film datato 1954 apparire ancora assurdamente attuale?
Questo lavoro di Luigi Zampa lo è, tristemente. La dice lunga sull'importanza capitale di questo film, ma anche e soprattutto la dice tutta sulla situazione sociale di questa Nazione, che in alcuni atteggiamenti e personaggi è rimasta ancora clamorosamente simile a quasi 70 anni fa. Ripeto: 70 anni fa. Il mondo è cambiato, la tecnologia ha stravolto le nostre vite, ma certa mentalità è dura a morire.
Alberto Sordi si ritrova un personaggio perfetto per le proprie qualità attoriali, con quella sua faccia tosta che lo porta a vestire diverse "camicie" e a trovarsi perfettamente a suo agio in certi ambienti e poi in quelli completamente opposti.
Il suo Sasà Scimoni è l'italiano per eccellenza, il furbetto con la "faccia come il culo", pronto a dire tutto e il contrario di tutto per i propri interessi: è socialista, spera nell'inizio della guerra ma poi si scopre contrario alla violenza (ovviamente per evitare di combattere in prima persona in guerra), poi si riscopre fascista (per evitare da vigliacco un duello con la sciabola) e poi comunista, diventa affarista e produce un film religioso, poi fonda un proprio partito (al suon di "questi polsi che hanno conosciuto il freddo acciaio delle manette": meraviglioso!) con una coerenza del tutto inesistente ma perfetta per il personaggio. Sarebbe bello considerare "incredibili" i voltafaccia di Albertone in questo film, ma purtroppo per i tanti personaggi visti nella storia italiana ma anche e soprattutto nell'attualità qui di incredibile non c'è nulla.
Anzi, L'arte di arrangiarsi diventa un reperto eccellente per un genere ormai del tutto estinto nello spettacolo italiano: questa è satira vera, cosa che purtroppo non si vede più da nessuna parte o quasi (per un popolo rimbambito da decenni di Mediaset e berlusconismo mediatico che adesso pensa che la satira sia quella di "Striscia la notizia"... No comment). Un film da ripescare e rivedere assolutamente.
Può esserci il difetto di una messa in scena un po' didascalica, che poteva essere più fluida per certi versi, ma è impossibile non apprezzare un film del genere, capace di far sorridere amaramente e pensare tanto.

Voto: 8