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giovedì 22 aprile 2021

Estraneo a bordo: disavventure spaziali

Viaggiando a ritmi volutamente compassati, si riesce a toccare buoni livelli di intensità e il risultato risulta interessante. La buona prova dei quattro attori coinvolti porta a un film decisamente solido.

La quantità oggettivamente eccessiva di film "usa e getta" che sono stati prodotti nel tempo da Netflix ha reso tanti (tra cui me stesso) piuttosto prevenuti al momento di affrontare la visione di una pellicola realizata dalla piattaforma di streaming.

In casi come "Estraneo a bordo" però bisogna capire cosa si pretende di vedere: ogni film dev'essere per forza un capolavoro indimenticabile o si può anche apprezzare un film più "normale"?
Le prime recensioni viste sui siti americani, infatti, con puntualità svizzera sono finite a stroncare questo film, che in realtà alla fin fine non è per niente male.
Probabilmente per molti americani l'assenza di spettacolarità fine a sé stessa porta un prodotto a risultare mediocre, invece proprio i toni sommessi sono il punto di forza di questo film, che riesce a creare un bel livello di tensione all'interno delle disavventure affrontare dai protagonisti, senza usare nulla di particolarmente esagerato o eccessivo. I ritmi procedono in maniera lenta ma con una bella costanza e lo spettatore si immedesima bene nei panni dei personaggi, portando a un intrattenimento assolutamente all'altezza della situazione.
 
La chiave del film è proprio la presenza dell'estraneo del titolo italiano (evidenziato in maniera più efficace dal titolo americano che è "Stowaway", ovvero "passeggero clandestino", che fotografa ancora meglio la situazione), con Shamier Anderson (che per certi versi anche all'interno del cast ristretto di quattro attori è quello decisamente meno noto) che suo malgrado si ritrova all'interno di una navicella partita per una missione biennale su Marte, portando a una situazione di assoluto pericolo per i tre membri dell'equipaggio previsti: la navicella infatti era stata costruita per due persone e già era una forzatura inserirvi all'interno un terzo componente, rendendo quindi insufficiente la riserva di ossigeno presente, ancora più insufficiente dopo alcuni imprevisti che colpiscono l'equipaggio. Allora che fare? La soluzione più "immediata" sarebbe quella di lasciar morire l'intruso, soluzione però non certo accolta in maniera semplice dall'equipaggio che allora le tenterà tutte.
 
Il film gira bene, con una sceneggiatura volendo abbastanza spoglia, che però soprattutto evita di inserire elementi futili, lasciando lo spettatore immerso continuamente nella storia. Il film per un buon 70% della sua durata si svolge all'interno della navicella, ma non sono male a livello tecnico le scene esterne più tipicamente da sci-fi, per un prodotto che tutto sommato si può definire estremamente solido, anche per una prova parecchio professionale del cast.
Se magari Toni Collette (solitamente straordinaria) in questo caso si limita a recitare col pilota automatico inserito, a spiccare piacevolmente è Anna Kendrick, che ancora una volta mostra una bella capacità di rendere empatico il proprio personaggio e che risulta credibile anche nelle scene all'esterno della navicella. Molto buona anche la prova del redivivo Daniel Dae Kim, noto ai più per aver dato il volto a Jin-Soo Kwon nella serie tv Lost.
 
Alla fin fine, senza spiccare il film si fa vedere piacevolmente: d'altronde, se in Italia a qualche scriteriato piaceva addirittura l'idea incresciosa della SuperLega di calcio, perché a me non può piacere questo "Stowaway"?
 
Voto: 7+

giovedì 15 aprile 2021

Raid - Una poliziotta fuori di testa: per una volta Boon non convince del tutto

Dopo un inizio discretamente simpatico (per quanto si segua una strada piuttosto canonica e non certo originale), il film diventa eccessivamente serioso nella seconda parte, finendo per avere il fiato corto.

Dany Boon è uno degli esponenti di spicco della commedia francese più "commerciale" e leggera, per la sua mimica e qualità attoriale e (da regista-autore) per la capacità di saper giocare con intelligenza e garbo sui luoghi comuni, riuscendo a far ridere con essi. Un cinema senza troppe pretese e per certi versi diretto, ma decisamente lontano dal becero che troppo spesso le commedie commerciali toccano in Italia, e per questo degno di stima.

In questo "Raid Dingue" (che nella distribuzione italiana deve diventare un banale e triste "Una poliziotta fuori di testa", per la mania tutta nostrana di stravolgere in modo patetico i titoli originali) però dimostra un difetto già visto in Supercondriaco (il suo film da regista cronologicamente precedente a questo), difetto che in questo caso risulta più penalizzante (visto che quel film sopra citato comunque restava di buon livello): ovvero una frustrante incapacità di rendere equilibrate la prima e la seconda metà del film, quasi come se l'idea su cui si poggia il lavoro finisse per avere il fiato corto e portasse a una seconda parte eccessivamente seriosa e non all'altezza di quella iniziale.
La differenza sostanziale è che se qui nella prima parte si sorride, in Supercondriaco si rideva tanto e quindi il giudizio finale finiva per essere più "permissivo" a fronte di questo grosso diretto.
 
Sì perché, pur non essendo da buttare via, la prima parte di questo Raid scorre bene ma non esalta e diverte come ci si potrebbe aspettare: le gag ci sono e finiscono per apparire simpatiche, ma manca un impatto forte che possa portare a divertirsi realmente. Oltretutto, si segue una linea piuttosto canonica (addestramento della recluta, avanzamento di carriera nonostante qualche disastro combinato dalla protagonista, e via dicendo) che sarebbe stata accettabile qualora il proseguimento del film sarebbe stato all'altezza.
Invece purtroppo qua si ha un cedimento piuttosto vistoso, con il film che finisce per non avere quasi più cartucce a livello umoristico e diventa troppo serioso, senza avere la dovuta profondità: la seconda parte diventa un miscuglio sentimental-action che proprio non convince e porta a un giudizio sotto la sufficienza.
 
Da attore, Boon in questo caso appare anche parecchio spento, forse per l'essersi ritagliato un ruolo sostanzialmente di secondo piano, visto che la protagonista assoluta è la poliziotta del titolo (italiano), peraltro interpretata in maniera anche decente da Alice Pol, che sembra avere quell'aria sia simpatica che imbranata che serve per il ruolo. Non è certo lei insomma il problema del film, anzi sembrava poter essere lei il motore comico della pellicola, ma purtroppo la sceneggiatura finisce per abbandonarla col passare dei minuti.
Simpatica la partecipazione di Michel Blanc nel ruolo del padre della protagonista, in grado di ritagliarsi un paio di scene discretamente gustose.
 
Ma in questo caso, la ciambella non riesce col buco e il film non soddisfa.
 
Voto: 4

mercoledì 14 aprile 2021

Il club dei divorziati: imperfetta commedia francese a la Apatow

Il genere alla Apatow (sia come stile che volendo per la trama, con i protagonisti 40enni immaturi) non si abbina benissimo con lo stile della commedia francese. A qualche buona trovata fa da contraltare un ritmo non perfetto e qualche passaggio a vuoto. Poco sotto la sufficienza.


Quando si prova a produrre un film dissacrante solo in apparenza ma fin troppo costruito nella realtà, il rischio enorme è quello di portare a una pellicola senza una vera e propria anima, soprattutto se poi lo stile cercato è piuttosto lontano da quello più conosciuto.
Le stimmate de "Il club dei divorziati" sono fin troppo ovvie: è un film che scopiazza i vari Apatow Movie provando a riportarli nei confini francesi, tanto che lo stile grossolano-demenzialemanontroppo e persino la stessa trama (con come protagonisti i soliti 40enni immaturi) sembrano usciti da uno qualsiasi dei film diretti o prodotti da Apatow. Uno dei problemi però è che questo stile storicamente non riesce bene ai francesi, straordinari nel giocare con la commedia con uno stile molto più raffinato e ricercato ma spesso in imbarazzo quando provano una via più sboccata-esagerata.
Oltretutto a penalizzare un film, che in sé per sé non è nemmeno malaccio, c'è una patina di ruffianaggine che è difficile scrollarsi di dosso: l'impressione chiara è che questa pellicola sia stata creata non per avere qualcosa da dire o per divertire in linea generale, ma proprio per piacere per forza a un possibile pubblico oltreoceano, specificamente quello americano. Tanto che alcuni riferimenti (come il "sono eccitato quanto Harvey Weinstein a un casting") appaiono forzatissimi: e appunto, appaiono davvero poco naturali, troppo studiati.
 
Non è certo tutto da buttare, alcune trovate sono anche divertenti, come la stalker con cui il protagonista Ben finisce a letto finendo per ritrovare il proprio volto tappezzato in tutta la città, o l'amica iper-protettiva e ultra-aggressiva, per un film che riesce a strappare più di qualche sorriso se non proprio qualche bella risata.
C'è però la chiara impressione di una regia incapace di maneggiare perfettamente questo genere di pellicola, portando a un ritmo altalenante, con anche qualche brutto passaggio a vuoto.
 
La domanda è: c'è proprio bisogno di scopiazzare gli americani proponendo film del genere?
 
Voto: 5

martedì 13 aprile 2021

Thunder Force: ennesimo insalvabile McCarthy-Falcone movie

Melissa McCarthy prova a contenersi più del solito e col marito Ben Falcone propongono un film decisamente meno grossolano del solito. Il problema è che ancora una volta non si ride mai.

Dopo averci propinato già insalvabili fetecchie come Tammy, The Boss e Life of the Party (nonché Superintelligence che vedo recensito egualmente male ma che non inserisco nella categoria per il semplice fatto di non averlo mai visto), la grande coppia Ben Falcone-Melissa McCarthy dimostra di non volersi fermare e ci riprova con questa parodia dei supereroi: il meccanismo non cambia, Falcone dirige e scrive (in questo caso da solo) appositamente per la moglie, con risultato ancora una volta pessimo. Ma evidentemente tra moglie e marito non bisogna metter dito e non c'è da sorprendersi se questa coppia continuerà a produrre altri film.
 
Una benché minima differenza rispetto agli altri film esiste: la vicenda è meno grossolana e la McCarthy tenta un umorismo un po' meno volgare del solito. Il fatto è che ha un problema piuttosto debilitante per un'attrice comica: non fa ridere. Ma proprio neanche per sbaglio. Thunder Force ci dimostra solo che (come in tantissimi casi) non è la volgarità in sé per sé il problema dei film comici americani di questi anni, il problema è che non c'è più senso dell'umorismo, che hanno perso del tutto il gusto della parodia e il senso del demenziale.
La McCarthy quindi prova a contenersi più del solito (pur non limitando del tutto certi accenni soliti), ma cambia poco nel giudizio e nell'impatto che dà all'occhio, perché portare avanti un intero film sull'unica idea delle due supereroi con insoliti lineamenti fisici non basta: vedere le due protagoniste sgraziate nell'entrare o uscire dall'auto non può bastare per far ridere. Manca tutto, mancano situazioni con appigli comici, manca la battuta a sé stante: e ci si annoia.
 
Sbagliata anche la scelta della spalla della McCarthy, perché Octavia Spencer è assolutamente una ottima attrice, ma dimostra di non essere portata per un film che vorrebbe essere divertente, finendo così per recitare col pilota automatico ma soprattutto per risultare eccessivamente ingessata.
Non va troppo meglio con gli antagonisti, soprattutto per "The King" Bobby Cannavale, che finisce per portare sullo schermo un cattivo troppo canonico e senza la necessaria ironia: l'unica gag che lo riguarda è ripetuta allo sfinimento e riguarda la sua incavolatura quando lo chiamano "King" tralasciando l'articolo "The", sai che ridere.
Un po' meno disastroso (ma comunque non in grado di salvarsi in un quadro generale così pessimo) è Jason Bateman, ma più per professionalità e esperienza personale che per il ruolo assegnatogli.
 
Così anche questo risulta essere un insalvabile McCarthy-Falcone movie: rispetto agli altri risulta essere meno pesante e meno frustrante, ma sempre troppo lontano dall'essere piacevole.
Anzi, di memorabile non c'è proprio nulla.
Resta incredibile pensare che Melissa McCarthy sia stata di recente in nomination per un Oscar: ma evidentemente nell'America di oggi chiunque si trovi a recitare in uno di quei biopic che ormai per assenza di idee producono in quantità industriale può finire tra le nomination per premi di quel livello.
 
Voto: 1

Junior: film mal concepito

Schwarzenegger è il primo a non credere nel film e alla prova dei fatti ha anche ragione, perché la sceneggiatura è spenta se non insulsa a tratti.

Rivedere oggi un film come "Junior" dà la sensazione di ritrovarsi di fronte a un reperto antiquato ben più antico dei 27 anni dalla produzione della pellicola, per come è cambiata (o sta provando a farlo) la società in alcune visioni e per il finto progressismo che caratterizza la vicenda, con una serie di sparate anche piuttosto ridicole ("solo Dio può sapere cosa succede lì dentro"...).
Il problema è che buttata lì l'idea che poteva anche essere buffa (Schwarzenegger incinto) gli autori non riescono a portare a nessuna idea simpatica, non premendo su nessun tasto con la necessaria convinzione. Poteva essere una favoletta impossibile, ma non lo è. Poteva essere un film ultra-demenziale, ma non ne ha lo spirito. E allora cos'è questo film? Appunto, nulla.
 
Schwarzenegger per primo risulta essere il punto debole del film, non tanto per il suo doversi adattare a un film in chiave ironica, quanto più perché egli stesso non crede minimamente di poter cavare un ragno dal buco da questa pellicola, mandando a monte in partenza ogni possibile appiglio.
In seconda battuta si torna agli autori, che buttano lì uno script raffazzonato con tante scene inutili e senza costruire nessuna gag simpatica, tanto che le uniche situazioni in cui si sorride arrivano dal facile aspetto surreale della vicenda. Alcuni dialoghi infatti risultano essere più che disastrosi, puntando unicamente su luoghi comuni sul genere sessuale che finiscono per essere pesanti se non proprio di cattivo gusto, per un film che cade in momenti di puro trash: uno su tutti, quando Schwarzenegger afferma con cattiveria "il corpo è mio e lo gestisco io".

Poco può DeVito, che si sbatte e riesce a risultare anche discretamente simpatico, mentre per cercare di strappare qualche risata gli autori portano Emma Thompson a tristi situazioni quasi slapstick.

Insomma, nella storia del cinema s'è riso anche su plot più paradossali e improbabili, ma questo succede quando lo script è all'altezza: questo non è il caso.

Voto: 2

sabato 10 aprile 2021

Pazzo per lei: una bella sorpresa

Senza strafare, è un film che riesce a inscenare una bella storia e a farlo con un bel tatto da parte degli autori: di originale c'è poco o nulla, ma non c'è alcuna scena che inceppa il meccanismo e il risultato finisce per piacere parecchio.

"Pazzo per lei" è un film che, pescato distrattamente all'interno del catalogo di Netflix, può finire per spiazzare lo spettatore.
Un film che nelle prime scene inizia come una commedia sentimentale scanzonata, quasi fracassona, con i due protagonisti a infiltrarsi in un matrimonio in una notte folle, ben presto ha una sorprendente virata che mischia sentimenti buoni (ma non certo superficiali) a un'atmosfera alla Qualcuno volo sul nido del cuculo per l'ambientazione all'interno della clinica psichiatrica (o "manicomio" come lo si sarebbe chiamato decenni fa), ovviamente senza voler avere la profondità di quello storico film.
Una virata che risulta essere molto più che un pretesto per far scorrere la storiella d'amore all'interno di mura insolite, perché (senza strafare) gli autori mostrano buon tatto nel descrivere i vari personaggi secondari, facendoci affezionare a essi pur senza inventare grandi trovate nello sviluppo dei personaggi, senza alzare in maniera eccessiva l'asticella e quindi senza mostrare premesse impossibili da mantenere.
 
Ne esce fuori un film onesto, in cui piace (e per certi versi "emoziona" pure) il rapporto tra i due protagonisti, che pure segue un filo non proprio nuovissimo ma che viene raccontato con un tatto non banale e capace di toccare il cuore dello spettatore, senza dimenticare il subplot da "rivincita degli ultimi".
In sostanza a spiccare non c'è nulla, a parte due-tre scene riuscite: è l'insieme che funziona bene senza intoppi portando lo spettatore ad appassionarsi e a "sperare" nell'happy ending.
 
Perché a volte non c'è nemmeno bisogno di inventare tanto per regalare un buon intrattenimento e magari scaldare anche qualche cuore più "freddo" (come può esserlo quello del sottoscritto).

Voto: 8,5

venerdì 9 aprile 2021

Ingrid va a ovest: film che non lascia indifferenti

La naturale apatia di Aubrey Plaza rende perfetto il personaggio di Ingrid, stalker figlia dei nuovi media, in un film che riesce in ciò che tantissimi falliscono: nel trattare con maturità e serietà le potenziali conseguenze dei mezzi social.
 

Raramente il tema delle pulsioni che possono essere figlie dirette o indirette dei nuovi media e network vengono riportate su schermo con la necessaria maturità: anzi, anche nel cinema o nelle serie più impegnate spesso e volentieri l'argomento è trattato con sufficienza, con macchiettismo, senza reale interesse e comprensione da parte di registi e autori (in Italia in particolare si sono visti in argomento totali disastri figli proprio dell'incapacità degli autori nostrani di sapersi correlare con la realtà, vivendo essi in una bolla a parte).
Una bella eccezione è invece questo "Ingrid va a ovest", che ci propone un quadro sicuramente romanzato ma decisamente più fedele e serio del solito non solo delle ossessioni che possono partire da un mezzo social (in questo caso la protagonista crea tutto questo per avvicinarsi a una ragazza "famosa" su Instagram), ma anche in seconda battuta delle finzioni che ci sono dietro quelle vite perfette all'apparenza con tutti quei sorrisi e quel "cibo perfetto" che sono l'immagine riflessa di una piccola parte di quotidianità distorta dai social network tanto in voga di questi tempi.
 
La Ingrid del titolo altri non è che una di quelle follower che tanto rendono importanti le "internet stars" di questi tempi, ma che allo stesso tempo per queste "internet stars" vale nulla. L'idealizzazione della vita di questa star inganna la psiche fragile di Ingrid, che così sogna di avvicinarsi a questa, di vivere come lei, utilizzando le tecniche classiche dello stalking, salvo poi agire con frustrazione malata al momento in cui verrà respinta.
Con uno stile un po' asciutto, quasi sommesso, piace il modo con cui viene portata la vicenda allo schermo, senza troppe estremizzazioni ma con un ritratto parecchio fedele di una realtà plausibilissima, con il rapporto contorto tra le due protagoniste e l'interferenza di svariati personaggi secondari.
 
Se è buono il lavoro a livello tecnico (regia/fotografia, ecc), sarebbe stato tutto vano se nei panni della protagonista Ingrid non ci fosse stata un'attrice all'altezza: e Aubrey Plaza nel riportare sullo schermo personaggi di questo tipo appare decisamente a suo agio, con quell'aria naturale quasi apatica e la funzionale inespressività che ricalcano perfettamente il carattere psicopatico del personaggio. In un film ben progettato, è proprio la Plaza l'aspetto migliore, spiccando straordinariamente senza per forza voler dare dei contorni "positivi" o simpatici al proprio personaggio.
 
Probabilmente non un film per tutti, visto anche che nei vari siti non mancano le stroncature (in particolare su IMDB), ma un film che difficilmente può lasciare indifferenti, in un senso o nell'altro.
 
Voto: 8-