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mercoledì 18 novembre 2020

Ted Lasso: molto più di un Oronzo Canà all'americana

Divertentissima e riuscitissima serie, con Jason Sudeikis strepitoso nell'impersonificare un personaggio apparentemente strampalato (un vero e proprio pesce fuor d'acqua nel calcio inglese) ma che si rivela ben più profondo e azzeccato delle attese. Una sorpresa graditissima.


Cosa? Una serie statunitense sul calcio?
Ebbene sì. Ma sebbene il tema centrale sia il calcio, non è una serie puramente e unicamente sportiva: Ted Lasso risulta essere una serie ben più profonda.
 
E' la rivincita di un perdente, quel Ted Lasso che senza alcun curriculum si ritrova dall'allenare squadre (e nemmeno di prima fascia) di college football (ma il football americano!) all'essere assunto incredibilmente sulla panchina di una squadra di Premier League di calcio, sport del quale ancora fino all'ultima puntata (in una delle gag ripetute della serie) non conosce nemmeno le regole. Surreale, assurdo? Sì, ma non troppo, in un calcio che casualmente in prossimità della lavorazione e del lancio di questa serie tv vede qua e là su panchine di squadre di storia e rilevanza allenatori senza curriculum come Andrea Pirlo alla Juventus oppure (per restare all'ambito della Premier League) Mikel Arteta all'Arsenal. Per cui, se senza alcun merito personale Arteta può allenare l'Arsenal, perché Ted Lasso non può allenare il Richmond?
A dare il volto a Ted Lasso è Jason Sudeikis, che affronta il ruolo con una straordinaria ironia abbinata a una devastante bontà d'animo continua, di fronte a tutti e tutto: se trova davanti dei tifosi che lo insultano dicendogli di vincere la prossima partita, lui risponde con uno spiazzante buonsenso dicendogli che ci proverà, in conferenza stampa resta scandalizzato dallo scoprire che nel calcio si può anche pareggiare, in spogliatoio tira fuori dei detti assurdi lasciando a bocca aperta i suoi giocatori, creando delle scene sempre godibilissime.
E' proprio la faccia tosta di Sudeikis nell'affrontare tutte le situazioni e tutte le difficoltà il grande punto di forza della serie, che a ogni puntata riesce a creare situazioni deliranti che strappano forti risate, ma che ha una profondità sorprendente: sì, perché nonostante l'incipit potrebbe far pensare alla storica Longobarda e a Lino Banfi (un po' come Oronzo Canà. Lasso è l'allenatore preso dalla presidente per far retrocedere volutamente la squadra), Ted Lasso è una serie che descrive bene i personaggi e che sa commuovere. Per lo stesso allenatore che in qualche modo riesce a conquistare la squadra, per il capitano del Richmond (club inventato dagli autori) che deve affrontare un difficile tramonto della carriera, fino allo straordinario tuttofare del club che ha un percorso particolare nel corso della serie.
La qualità delle puntate è sorprendente, perché se già la prima puntata col suo aspetto surreale della vicenda riesce a sorprendere e a divertire, è successivamente che la serie decolla dimostrando che il pilot era nulla più che un'introduzione: il mix tra comedy e drama con lo sport come anello di congiunzione è riuscito per le ispirate interpretazioni di tutti gli attori e per uno script superiore alla media.

AppleTv+ per certi versi è una piattaforma "nuova" che si sta affacciando nel sempre più popolare panorama dello streaming e con Ted Lasso regala una sorpresa parecchio gradita, apprezzata persino dal sottoscritto, ovvero uno che è patito di sport (peraltro questa serie tocca il calcio inglese, ovvero uno dei miei campi preferiti) ma ama molto poco la trasportazione di esso nel cinema o nelle serie tv perché finisce per essere o troppo romanzata o frustrantemente irreale: ebbene, nonostante qui la vicenda di partenza sia del tutto surreale, lo sviluppo della serie è riuscitissimo perché non tratta lo sport come una favoletta. Il risultato è di altissimo livello, per una serie davvero consigliata per tutti. Il risultato è stato talmente gradito dal pubblico che sono già state ordinate altre due stagioni ed è giusto dare un seguito alle vicende di coach Lasso, sperando che gli autori non perdano la verve mostrata nelle prime splendide 10 puntate.

Voto: 9,5

Instant Family: buon esempio di cinema familiare

Film leggero ma ben più legato alla realtà rispetto alle abitudini del cinema familiarista, che ha un grande punto di forza nel lotto molto riuscito di personaggi secondari.


Considerando quanto sdolcinata e leziosa sappia essere Hollywood con il suo cinema proto-familiare (e soprattutto spiccatamente pro-familiarista), questo Instant Family risulta essere una bella sorpresa. Certo, non mancano quei momenti un po' esagerati per far commuovere l'americano medio di bocca buona che magari ipocritamente getta la lacrimuccia su una storiella simile e poi con gli occhi foderati di prosciutto appoggia i deliri trumpisti squallidi (ma sappiamo bene quanto sia contorta e fasulla certa parte di società americana), ma tutto ciò viene inserito in una sceneggiatura un po' più ispirata del solito (specialmente rispetto alla media di genere) e soprattutto ci propone una situazione familiare che può apparire romanzata ma che appare ben più vicina alla realtà rispetto alle abitudini.

Il quadro è talmente funzionale che persino Mark Wahlberg (attore solitamente detestato dal sottoscritto) si rispecchia e si ritrova bene nella parte, molto ben affiancato dalla sempre deliziosa Rose Byrne (capace di caratterizzare il ruolo della madre affidataria in modo ben più complesso del solito, con alcune negatività che la rendono più umana e meno cinematografica), in un film che forse eccede leggermente nella durata (si sfiorano le due ore) ma che riesce a evitare cadute stucchevoli grazie a tutti gli attori di contorno, bravissimi un po' tutti a spezzare il ritmo. Viene da pensare alla simpaticissima Tig Notaro (vista e apprezzatissima nella serie One Mississippi) che insieme a Octavia Spencer dà sostegno alle famiglie affidatarie riuscendo a a ritagliarsi lo spazio per alcune buone gag qua e là, specialmente quando si ritrovano a parlare di quella madre single che ha come obiettivo quello di ottenere l'adozione di una futura star dello sport, ritrovandosi ovviamente tra le mani un campioncino di basket... di 1.58, bianco e rossiccio. Deliziosa anche la figura della nonna materna di Margo Martindale, per una serie di volti e personaggi che permettono allo spettatore di seguire col sorriso la vicenda.

In parte retorici, ma in generale ben descritti e molto sentiti i contrasti e le situazioni nuove che la coppia protagonista deve affrontare ritrovandosi in casa di colpo questi tre ragazzini, per una serie di momenti un po' altalenanti ma descritti discretamente.

Nel suo genere, un film abbastanza riuscito.

Voto: 7

giovedì 12 novembre 2020

El practicante: thriller dai tratti inquietanti

Film non certo memorabile, ma capace di farsi apprezzare per la tensione che si crea nella situazione da incubo per la vittima del folle protagonista.


El Practicante si unisce alla buona (se non ottima) schiera dei thriller spagnoli di questa generazione, pur essendo più diretto (e conseguentemente più "usa e getta") e meno complesso rispetto alle abitudini, puntando sulla situazione da incubo maniacale alla Misery, pur avendo per forza di cose una minore complessità caratteriale (specialmente rispetto al romanzo di Stephen King).

Tutto ruota attorno al protagonista Angel, descritto da subito con tratti arroganti e antipatici, con una gelosia e una paranoia che schizza alle stelle fino alla follia una volta che (causa incidente) si ritrova paralitico su una sedia a rotelle. Si mette a controllare il cellulare della fidanzata, che così lo lascia portando a una reazione folle. Angel così finirà per sequestrare la ragazza, creandole una situazione da incubo totale che crea una buona ansia anche agli occhi dello spettatore.

Non tutto fila esattamente liscio, in particolare non convince la reazione del vicino di casa la seconda volta che sente dall'appartamento del protagonista delle urla femminili, ma il film centra i bersagli prefissati, creando una forte tensione e intrattenendo spettatore, riportando intrinsecamente una buona morale critica sull'ossessione che porta alcuni soggetti malati allo stalking vero e proprio.
In tal senso a dare forza al film è la prova eccellente di Mario Casas (ormai una sicurezza nel genere thriller), che impersonifica in modo squallido e convincente il protagonista.

A livello tecnico (a cominciare dalla regia di Carles Torras) non c'è molto da segnalare, in quanto il lavoro procede più che altro in modo funzionale, per un film che sicuramente non ha nulla di particolarmente memorabile ma che si rivela tutto sommato una buona visione.

Voto: 7