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giovedì 30 gennaio 2020

Odio l'estate. Aldo, Giovanni & Giacomo tornano (finalmente) ad avere un senso

Senza ritrovarci di fronte a nulla di miracoloso, si rivede finalmente un film piacevole con Aldo, Giovanni & Giacomo. Una commedia corale che dopo una rivedibile fase introduttiva, si accende e finisce per essere abbastanza divertente.

Sono passati sei anni dal tonfo de Il ricco, il povero e il maggiordomo, film onestamente brutto e senza nerbo che ha fatto chiedere in tanti se e quale futuro ci sarebbe stato per un trio a cui tanti sono affezionati e con cui tanti son cresciuti. Quel filmaccio targato 2014 (ultimo vero film del trio, mi rifiuto di considerare l'improvvisato Fuga da Reuma Park come un film vero) è stato il definitivo campanello d'allarme per Aldo, Giovanni & Giacomo, perché triste conferma di un declino iniziato a poco a poco da Tu La Conosci Claudia?, commedia che dimostrava un primo calo di vivacità e che mancava di vere risate. Un declino che probabilmente si può spiegare nell'incapacità dei tre di sapersi riaggiornare e rimodernare, per un trio che ai bei tempi aveva una comicità per certi versi molto fisica (basti ripensare alle scenette dei vecchi Mai Dire Gol, in cui bastava entrassero e facessero un po' di gesti per farti scoppiare a ridere, specialmente con l'espressività unica di Giovanni Storti), una comicità che però per forza di cose non poteva essere ripetuta all'infinito.
Volendo essere positivi, alcuni di noi hanno visto come un segnale positivo il fatto che i tre abbiano deciso per un po' di staccare la spina, di fermarsi come gruppo ed esplorare alcuni progetti singoli, per poi appunto ritrovarsi dopo questa pausa: chissà, magari fermarsi un attimo li avrebbe portati a ritrovarsi in una nuova forma?
Per questo Odio l'estate è stato accolto con una certa curiosità, per capire quanto ancora potremmo aspettare da chi ci ha fatto divertire e tanto negli anni passati.

Si inizia subito con Aldo a fare da voce narrante (come in Chiedimi se sono felice), ma anche con la solita incomprensione di soggetto che ha accompagnato un po' troppi film di Aldo, Giovanni & Giacomo: perché perdere una mezz'oretta con mezzucci scialbi per fare incontrare i tre protagonisti? Non si potrebbe mica fare come in Tre uomini e una gamba (o anche come nello stesso Chiedimi se sono felice, non a caso i loro due film più riusciti) in cui partiamo dal presupposto che i tre si conoscono già all'inizio del film? Perché ancora una volta ci si imbatte in una fase introduttiva in cui il ritmo è scialbo per farci capire le situazioni familiari dei tre e anche al momento del loro incontro alla casa dal mare, ci vuole un po' per farli avvicinare davvero. Ed è tutta una fase di film che, per quanto non proprio disastrosa, è sulla carta superflua ed evitabile: piuttosto che perdere tempo così, si potrebbe partire direttamente sparati e provare a intraprendere altre strade nello sviluppo del film, magari?

Questa introduzione è la fase più debole del film, che poi inizia ad accendersi, inizia a prendere un ritmo discreto, per quanto ovviamente non paragonabile alla serie di sketch continui dei loro primi film, sia perché l'età dei tre è un po' diversa, sia perché (come si era visto in Il ricco, il povero e il maggiordomo) dei tre sembra Giovanni quello più calato a livello di forma, ovvero proprio il fulcro del trio: nei momenti migliori, infatti, questo trio è stato per certi versi "giovannicentrico", era lui la chiave di tutti i momenti migliori per carisma ed espressività davvero fuori dal comune, un ruolo che adesso probabilmente Storti non può più tenere come ai bei tempi e che quindi porta una differente gestione delle situazioni, in modo molto più eterogeneo rispetto ad anni fa.
Forse proprio per questo ci troviamo di fronte a un film diverso, per quasi l'intera durata (fa eccezione in sostanza la parte dal viaggio a Follonica in poi) ci troviamo di fronte non a un film comico, ma più a una commedia corale con ruoli importanti anche per mogli e figli dei tre.
E se Giovanni per certi farsi fa la parte da bonaccione che deve respingere gli attacchi (che siano di Giovanni, che siano del figlioletto) molto simile a quella dei primi tempi, Giovanni e Aldo appaiono in un ruolo leggermente diverso. Giovanni come detto è meno debordante degli altri tempi, più stanco, e se ripesca dal repertorio i soliti appunti da precisino e le solite dinamiche che probabilmente all'interno del trio non cambieranno mai, riesce però anche a essere meno dominante, a fare insomma quel... passo indietro misogino che vorrebbe Amadeus dalle donne, ma giusto per mettersi in pari con gli altri due. Aldo invece per fortuna con l'avanzare dell'età diventa meno macchietta e appare più profondo del solito: se quindi Giovanni è ancora quello che diverte di più, Aldo è quello che per ruolo a tutto tondo finisce per piacere più degli altri, per apparire in un ruolo più felice a lungo andare nel corso del film.

Hanno molto un senso anche le tre mogli: se un ruolo un po' "marginale" è creato per Carlotta Natoli come moglie di Giovanni, si creano uno spazio molto importante Lucia Mascino (ansiosissima moglie di Giovanni) e soprattutto la sempre brava Maria Di Biase, la cui innata simpatia porta a frecciate che divertono un po' per tutta la durata del film (tanto da risultare la più divertente in generale nella fase introduttiva).
Funzionali, ma per certi versi banalotti i personaggi dei figli: se il figlioletto di Giacomo può sparare un paio di battute anche divertenti nei confronti del padre, la dinamica creata per loro è un po' troppo di maniera, troppo vista e rivista per convincere realmente.

E' però un film che alla lunga, pur non avendo quelle scene memorabili da citare allo sfinimento come nei primi film del trio, trova un buon ritmo e finisce per piacere. Non ci sarà quasi mai il momento con cui sganasciarsi dal ridere, ma si sta col sorriso abbastanza fisso sulle labbra, per un'operazione che risulta essere più intelligente del previsto.
In sostanza, vedendo il trailer e vedendo il film vacanziero fuori stagione, vai al cinema per curiosità nei confronti dei tre, ma non ti aspetti più di tanto, anzi temi di dover stroncare anche questa pellicola. Invece Odio l'estate per certi versi ti sorprende, perché finalmente ripropone Aldo, Giovanni & Giacomo finalmente in una veste aggiornata (proprio quello che era mancato a lungo andare), pur tenendoli abbastanza fedeli ai loro personaggi a cui siamo affezionati. In questo senso si nota un gusto per l'autocitazione che non stona per nulla, anzi porta lo spettatore a vedere con simpatia momenti come Giovanni che crea la casa coi tronchi chiedendo a Giacomo che gli passi dei tronchi particolari (a farci pensare alla sporgenza a zoccolo di gnu) e soprattutto penso che in sala a tutti abbia fatto piacere rivedere la storica partita di calcio in spiaggia di Tre uomini e una gamba, riproposta in modo molto simile e sotto la musica di "Che coss'è l'amor" di Vinicio Capossela, esattamente come 23 anni fa: e Giovanni Storti riesce ancora a battere i corner meglio di tanti calciatori di Serie A!

In definitiva, non è certo un film che ti fa gridare al miracolo, non è un film che si può avvicinare ai fasti di Tre uomini e una gamba, ma è un film che possiamo accogliere con piacere perché ci fa capire che Aldo, Giovanni & Giacomo possono ancora regalarci qualcosa, che magari in questa decade possono regalarci prodotti decisamente migliori rispetto a quella passata.
Il voto è un 6,5 forse più tendente al 6, ma per i tanti ricordi che mi legano a questi tre lo porto al rialzo fino al 7.

You. Lo stalking visto dalla parte del colpevole

La follia dello stalking raccontata con un tatto non comune e con una sorprendente dose di ironia, per una serie tv riuscita perfettamente.


Ogni tanto tra le serie meno "popolari" di Netflix si trovano delle gemme e You è assolutamente una di queste.
Si tratta di un genere molto attuale (per fortuna non più sottovalutato come lo è stato a lungo) e molto trattato in letteratura (non a caso la serie deriva dall'omonimo romanzo di Caroline Kepnes) come il thriller sullo stalking, con picchi di dramma con buon approfondimento psicologico.

Il protagonista è il libraio newyorchese che immediatamente si ossessiona di Beck e inizia ad avvicinarsi a lei con le classiche tecniche dello stalker. La serie ci fa vedere tutto in prima persona, facendoci immedesimare con il protagonista, riuscendo quindi in un doppio intento. Farci capire in pieno l'orrore dello stalking, la follia di questo atto infame e disumano è il primo intento centrato perfettamente, ma non secondaria nella riuscita della serie è il lasciarci immedesimare con la mente psicotica del protagonista, sentendo i suoi ragionamenti e i suoi pensieri con uno stile che per certi versi fa ripensare anche a Dexter. Tutto ciò ci fa entrare in un vortice folle in cui non manca anche una certa ironia da black humor, che non vuole certo alleggerire o sottovalutare la questione ma che riesce a rendere meno pesanti i vari episodi: quindi sentiremo il pazzo considerare "pazzi" gli altri, risultando a suo modo devastante.

Buonissima la caratterizzazione psicologica dei protagonisti, eccellente anche una scrittura che non lesina qualche sorpresa nei vari episodi, per 10 puntate che scorrono via benissimo, che intrattengono e riescono a tenere costante la tensione e il senso di orrore per l'atto dello stalking.

 Un soggetto del genere sembrerebbe destinato a uno svolgimento da "one and done", invece gli autori sono riusciti a ricavarne una seconda stagione ancora più folle per certi versi della prima, dimostrando l'incredibile forza del plot e la malata profondità del protagonista. Per certi versi la seconda stagione è anche più particolare e più complessa del semplice "stalking" del prima, il protagonista si trova coinvolto e autore di casini colossali, dando altre 10 puntate da tema un po' meno monotematico e molto più complesse. Per una seconda stagione che sorprende ulteriormente e che finisce per piacere, con tanto di scena finale che (esattamente come nella prima stagione) ci regala uno scenario bizzarro che sembra tenere aperte le porte per un'ulteriore stagione.

You è così una serie davvero ben riuscita, da vedere assolutamente, scritta con un tatto non comune e che merita un voto alto.

sabato 4 gennaio 2020

The Irishman: il crepuscolo dei gangster

Con un retrogusto un po' amaro (soprattutto nel finale), Scorsese ci regala il testamento personale al genere del gangster movie e lo fa dirigendo con maestria tre mostri sacri come Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, tutti e tre grandi protagonisti.

E' vero che i libri non vanno mai giudicati dalla copertina, ma quando vedo che un mostro sacro come Martin Scorsese si riappropria del "suo" genere (il gangster-movie) e nel farlo porta sullo schermo un trio come Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, la sensazione di poter assistere a un film di livello c'è tutta. E bastano 25 minuti per ritrovarsi del tutto appassionati al film, a essere completamente presi dal racconto e dai ricordi di Frank Sheeran.

E' ovviamente un film fatto dagli attori, in primis dal quasi onnipresente Robert De Niro: lo abbiamo visto negli ultimi anni in film assolutamente inadeguati alla sua storia e al suo talento (due su tutti, Nonno Scatenato e Last Vegas), ma basta affidargli un ruolo di un certo calibro per ritrovare il solito immenso e inarrivabile De Niro. Sia scalfito dai segni dell'età, che ringiovanito digitalmente nelle fasi che richiedevano un Frank Sheeran nel pieno dell'età, ritroviamo le solite espressioni facciali a cui un po' tutti siamo affezionati e una bravura che non si annacqua col tempo. Robert è stato ed è ancora (speriamo lo sia a lungo in film di livello) un attore sensazionale, un talento unico ed è davvero bello ritrovarcelo così in palla.
Così come è bello vederlo finalmente a lungo duettare con un altro mito assoluto come Al Pacino, che "entra" nel film dopo una quarantina di minuti e lo fa con una forza dirompente, come un vulcano pronto a dominare la scena con la solita verve (anche qui l'età resta solo sulla carta d'identità, ma la forma è quella giusta) e anche con un pizzico di humor che rende ancora più affascinante il suo Jimmy Hoffa, devastante con le sue incavolature e la sua arroganza: aiutato da una sceneggiatura molto ben scritta, capace di affibbiargli dialoghi non banali (in particolare con De Niro), Pacino riesce un paio di volte a far sorridere nella fase centrale, soprattutto nella straordinaria scena delle "scuse" in Florida.
Davvero quando si è fuoriclasse nati, lo si è sempre indipendentemente dall'età in un campo come quello del cinema.

E che dire poi di Joe Pesci? L'età magari gli ha tolto quell'energia strabordante che lo ha reso grande nel pieno della carriera, ma anche lui appare assolutamente in palla e completamente convincente. In alcune fasi nell'edizione originale parla anche in italiano con De Niro (il quale dice che gli riconosceva un accento catanese: insomma, da siciliano dissento, ma erano dialoghi talmente intriganti che glielo si perdona comodamente) e in generale recita con una classe non dissolta negli anni del suo ritiro. Bello ritrovare anche lui sullo schermo, tanto da rimpiangere il fatto che Pesci non abbia voluto recitare quasi per nulla negli ultimi 20 anni (sostanzialmente da Arma Letale 4 in poi). Joe, goditi il pensionamento, ma quando ti arrivano sceneggiature adeguate continua a recitare perché sei ancora uno dei grandi del cinema!

Scorsese sa dirigere come pochi questo genere, ma lo fa in un modo sostanzialmente nuovo, con meno epicità e con un pizzico di riflessività e drammaticità in più. Per circa due ore e mezza il film ha un'intensità importante, mentre direi proprio sia voluta la scelta di affrontare la fase finale con toni molto più spenti, quasi a mio modo di vedere una scelta del regista di chiudere le proprie porte con il genere con un calando crepuscolare, per dirci che i protagonisti di questo genere non sono mai dei vincenti, sono uomini soli (in tal caso vedo molto importante il rapporto tra Frank Sheeran e la figlia) destinati a una fine da sconfitti, sia che questa arrivi per cause naturali che per mano di rivali o amici. E' una fase finale più spenta ma con una grande importanza filosofica, un retrogusto amaro che dà una profondità diversa al film.

C'è qualche difetto, la sceneggiatura ha un paio di fasi non azzeccate (un paio su una pellicola di quasi tre ore e mezza però) e digitalizzare per ringiovanire i protagonisti non nasconde qualche "impaccio" nei movimenti, ed è solo questo e un finale forse un po' troppo rallentato rispetto al ritmo del resto del film che mi spingono a non dare un punteggio più alto, ma The Irishman è ancora una volta cinema di qualità creato da dei grandi a cui un po' tutti noi dobbiamo tanto ed è una visione pienamente soddisfacente, accompagnato anche da una buona colonna sonora in sottofondo.

Voto: 8

giovedì 2 gennaio 2020

Tolo Tolo: tanto rumore per nulla, ma proprio nulla.

Iniziare il 2020 guardando Tolo Tolo è positivo, perché sei consapevole che per il resto dell'anno difficilmente riuscirai a vedere un film peggiore.

Il concetto di "tanto rumore per nulla" si sposa fin troppo perfettamente a questo Tolo Tolo, prossimo campione d'incassi all'italiana per restare perplessi e aver capito di aver buttato i soldi (anzi in tanti sono andati a pagare il prezzo festivo del biglietto, perlomeno il sottoscritto ha pagato una tariffa canonica).

Intanto, per centrare subito il punto "polemico" delle ultime settimane, bisogna sottolineare che Tolo Tolo è tutto meno che un film razzista. Ma d'altronde sono andato al cinema perché mi aspettavo proprio questo: chi scrive è il solito uomo bianco (categoria che in una percentuale di casi non può capire i casi di razzismo, perché non lo viviamo sulla nostra pelle), ma mi sembrava chiaro che la canzone-trailer "Immigrato" non avesse intenzione di essere razzista, pur essendo non centratissima (né divertente) perché eccessivamente qualunquista. Le polemiche arrivate le vedevo sterili e fuorvianti, tanto che (per capire il livello generale della nostra Nazione) quelli più sfacciatamente presi in giro dalla canzonetta (solo io vedo l'immigrato sfottere lo slogan "prima gli italiani" o mettersi a letto andando a escludere il maschio italiano rappresentato da Zalone?) sono diventati gli strenui difensori di questo brano, una meraviglia surreale davvero tutta italiana. Come volevasi dimostrare, i biechi che son andati al cinema pensando di vedere un film di propaganda razzistoide escono dalla sala con le pive nel sacco.
Ma sono solo questi a uscire insoddisfatti dalla sala?

Premetto che il "fenomeno" Checco Zalone non è uno degli argomenti che conosco meglio, avendo completamente snobbato il comico nel pieno del suo successo televisivo, musicale e cinematografico, riprendendolo solo negli ultimi due anni per pura curiosità e (detto con tutta onestà) ricredendomi in parte su questo personaggio. La superficie cialtronesca e strafottente, nasconde un buon talento comico fatto di sferzate dirette e trovate non di poco conto. Questo tipo di talento lo si è visto in modo altalenante nei film che, pur con difetti tecnici (in particolare regia inconsistente) e di sceneggiatura, hanno innegabili momenti divertenti. Finora avevo trovato sufficienti o oltre il suo primo e il terzo film, mentre ho trovato insoddisfacenti il secondo e il tanto venerato Quo Vado?, in cui a mio modo di vedere si cercava un'ambizione eccessiva per il livello di scrittura e in cui veniva completamente snaturata la comicità del pugliese.

Purtroppo questo processo prosegue in maniera anche più marcata in Tolo Tolo, che diventa un film senza capo né coda. I segnali preoccupanti li avevo visti subito, già dal trailer-non-trailer: il mio pensiero cattivo era, se persino i più biechi film comici trovano due battute da infilare nel trailer, possibile che in questo film ci sia una tale povertà di umorismo da portare produttori e autore a pubblicizzarlo con la sola canzone "Immigrato"? La risposta è sì. E l'imbarazzo lo si vede in sala.
Personalmente sono andato in un orario "poco di punta", nonostante tutto ho trovato una sala piuttosto piena, ma una sala anche perplessa dallo spettacolo in visione. Ho visto nella vita una marea di film che trovavo brutti, sentendo al mio fianco gente ridere per robe che ai miei occhi non erano neanche lontanamente divertenti, una situazione che Tolo Tolo nemmeno è riuscito ad avvicinare: il sala c'era il gelo, la gente soltanto raramente riusciva a trovare lo sfogo della risata (e nemmeno tanto convinta).
E c'era davvero poco (anzi nulla) da ridere. Il film è una serie di sequenze sciatte, accoppiate a una scrittura dilettantesca e incapace di creare situazioni un minimo spiritose e ci si affida unicamente alla speranza che una sparata di Zalone possa bastare a strappare una risata. Invece Checco annaspa disperatamente e non strappa nemmeno un sorriso.
C'era chi voleva vedere della "satira" in Tolo Tolo, ma già appunto la qualunquista canzone "Immigrato" non mi faceva sperare nulla del genere. La satira è soprattutto un ridicolizzare gli stereotipi di ogni genere, mentre qua ci appioppano 90 minuti di stereotipi cavalcati senza alcuna vergogna. La satira lasciatela a chi la sa fare (e in Italia ahimé non la sa fare più nessuno da quando ci hanno imbavagliato Daniele Luttazzi: l'unico in grado di farla è Corrado Guzzanti, a cui però non danno lo spazio meritato).

Cos'è allora Tolo Tolo? Il nulla. E' un film comico che non fa mai ridere, è una commedia sui viaggi della disperazione degli africani dal loro punto di vista, senza avere la forza della scrittura in grado di farti riflettere né empatizzare con i protagonisti. Diciamola tutta, lo stesso genere di film lo avevamo visto l'anno scorso con Aldo Baglio protagonista e in quel caso era riuscito molto meglio.
E' un film che non so nemmeno se voglia essere realmente ambizioso o rappresentare un Checco Zalone più "maturo", perché altrimenti non ci si imbatterebbe in testi così stupidi e imbarazzanti.

Il cambio di regia da Gennaro Nunziante a "Luca Medici" (già, nei titoli di testa usano il nome d'arte di Zalone come attore per poi usare quello reale per la regia, perché lo sanno solo loro) non porta alcun cambiamento: nulla era la regia di Nunziante e nulla resta questa regia, la differenza di mano non si nota per niente.
Le musiche? Ogni due per tre per vivacizzare situazioni sonnolenti parte una canzone, ma anche qui siamo al disastro. Le canzoni originali di Zalone semplicemente sono inferiori a quanto ci ha abituato (o forse bisognerebbe ridere con la solita canzone sulla "gnocca" buttata lì senza alcun motivo?), mentre per il resto nel 2020 ci ritroviamo ancora a sentire "Italia" di Mino Reitano, anche qui senza un senso con un montaggio completamente slegato rispetto alla storia.

Capitolo a parte meriterebbe l'orripilante finale cartoonesco, che riesce persino ad abbassare il livello già infimo della pellicola, ma evito ogni possibile spoiler.

Insomma, altro che maturità, altro che irrivenza, altro che tutto. Tolo Tolo è solo noia e imbarazzo. A sto punto preferivo quando in Italia rubavano i soldi dalle tasche con gli orrendi cinepanettoni, almeno lì si sapeva che si guardava qualcosa di volgare e rozzo (e almeno non c'erano pseudo-critici a vedere ambizioni da "nuova commedia all'italiana" o altre porcate che scrivono senza vergogna forse ricevendo qualcosina in cambio).
La cosa migliore di iniziare il 2020 guardando questo film? La consapevolezza che per il resto dell'anno difficilmente riuscirai a vedere di peggio. Il 2020 non può che procedere in salita per il sottoscritto a livello cinematografico.

Voto: 0