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martedì 31 marzo 2020

Ridere per ridere: "nei pop-corn che mangiate ci hanno pisciato, fine del giornale"

L'unico filo conduttore del film è il cazzeggio. Nasce qui la grande comicità demenziale all'americana al cinema.


Se si vuole cercare il primo esempio cinematografico di comicità demenziale all'americana (quella vera, non certo quella unicamente volgare e senza alcun senso umoristico attuale), il capostipite direi proprio che è Ridere per Ridere, non a caso il primo lavoro al cinema per la premiata ditta ZAZ.
L'unica idea di fondo di questo lavoro è il puro cazzeggio, prendere di mira ogni cosa capiti a tiro in un film assolutamente senza trama, una finta programmazione televisiva. Un espediente che permette di mettere insieme gag di varia durata, soprattutto breve, che per mia sorpresa non è stato usato più spesso nella storia del cinema. Di film comici senza trama per puro cazzeggio come questo abbiamo poche tracce: lo stesso Landis una decina d'anni dopo ci riprovò con Donne amazzoni sulla Luna (con buone trovate ma meno geniale di questo film), così come uno degli ultimi lavori di David Zucker è nella produzione del buono (e ingiustamente dimenticato) News Movie, mentre in Italia gli unici ad averci provato sono gli Squallor con Uccelli d'Italia.
E dire che usato nel modo dissacratorio giusto, questo espediente può dare risultati, come dimostrato da Ladis alla regia e dà David Zucker, Jim Abrahams e Jerry Zucker al soggetto in questo film che per me è un cult assoluto, una continua presa in giro della televisione, delle sue tecniche e dei vari spot.

Una sequela di gag spesso di altissimo livello, in cui si vedono le prime tracce del genio degli autori, con momenti assolutamente irresistibili come il finto-trailer delle "Liceali cattoliche in calore", come il cinema con i super effetti speciali, come la scemenzuola sull'ossido di zinco, per chiudere con l'ultima grande gag con la coppietta che ha atteggiamenti intimi mentre in tv c'è il telegiornale, finendo per distrarre e causare la reazione delirante di conduttore e tecnici del tg (momenti di assoluta demenzialità).
Ma a sorprendere è il fatto che un prodotto volutamente così disomogeneo, abbia una qualità di gag così stabile, quasi sempre molto alta.
Forse l'unico difetto è aver concentrato un po' troppi minuti nella parodia dei kung-fu movie alla Bruce Lee, che è simpatica ma anche il punto meno irresistibile di un film che ancora adesso (avendolo visto più e più volte) mi fa lacrimare dalle risate.

Assolutamente da cercare e rivedere.
Voto: 8

lunedì 30 marzo 2020

Irrational Man: perfetti ingranaggi alleniani

Quando gli attori protagonisti sono quelli giusti, la scrittura di Woody Allen viene esaltata. Dopo un inizio transitorio, il film impenna e diventa davvero piacevole da vedere


E' davvero notevole appurare che quando Allen centra al meglio i propri attori protagonisti, i suoi script finiscono per essere costantemente esaltati, quasi come se per questi serva quasi unicamente lo sfogo visivo migliore per dare vita a film piacevoli.
Se per le protagonisti femminili Woody raramente si sbaglia (davvero difficile trovare nella sua filmografia un'attrice davvero inadeguata al contesto), non sempre nei film in cui il newyorchese non appare abbiamo visto protagonisti maschili all'altezza, vedi anche l'ultimo caso con Timothée Chalamet apparso piuttosto acerbo in Un giorno di pioggia a New York.
In Irrational Man il casting è prodigioso, visto che i due protagonisti altri non sono che due destinati a vincere un Oscar come miglior attore e miglior attrice protagonista nel giro di un lustro, due protagonisti di generazione diversa che si amalgamano alla perfezione, forti anche di una sceneggiatura come sempre di alto livello.
Per certi versi è un peccato che le vicende esterne personali abbiano allontanato Allen da nomi di primissima fascia, perché sarebbe stato bello vedere un'attrice di calibro come Emma Stone impegnata in un numero maggiore di sue pellicole: davvero avrebbe avuto le potenzialità di diventare un volto continuo alleniano al livello anche di Mia Farrow e Diane Keaton, tanta è la sua bravura e la sua adattabilità a un genere di film non semplicissimo. La Stone eccelle, dando alla propria Jill sfaccettature non banali, dimostrandosi una volta più una delle attrici di punta di questa generazione.
Trovato un attore del calibro di Joaquin Phoenix (decisamente meno gigione di quanto sarà in Joker, ma non per questo meno bravo) a interpretare il professore di filosofia, confermata la solita qualità del testo di Woody Allen, il gioco è davvero fatto.

Abbiamo davanti il solito stile alleniano, con un'unica eccezione nella colonna sonora, dove sostanzialmente (a parte in un locale) si nota l'assenza del genere jazz, che invece solitamente ti aspetti nello sfondo di un film di Woody Allen.
Azzeccata la scelta delle due voci fuori campo a narrare, espediente che spesso e volentieri è usato in maniera banale e per questo risulta parecchio fastidioso, ma che quando è usato in modo intelligente (e qui serve a evitare scene "intermedie", tenendo così alto il ritmo pur senza avere una regia vibrante, che in un film così sarebbe stata controproducente) è accettabile, se non addirittura piacevole (e qui alla lunga piace sentire i pensieri dei due protagonisti via via che la vicenda ha luogo).

L'inizio del film lì per lì sembra un po' leziosetto, con i dialoghi parafilosofici che servono comunque per far conoscere i due protagonisti e per confermarci che in ogni caso i dialoghi scritti da Allen restano decisamente superiori alla media attuale.
Dalla scena al bar, in cui Phoenix e Stone sentono parlare di questo giudice che diventerà la vittima di omicidio, il film ha un'impennata decisa e costante e diventa davvero molto bello. Ogni tassello piazzato qua e là (davvero ogni, basta vedere il twist finale) da Woody cala alla perfezione, diventa intrigante seguire prima il sussulto interiore del professore Abe Lucas ad architettare e poi effettuare questo omicidio, mentre poi arriva Jill Pollard che prima è splendida nel districarsi tra i sospetti e poi diventa quasi la voce della coscienza.
Il film a questo punto scorre in maniera eccellente e nello script di Allen si riscontra anche una minima ironia macabra, oltre ai logici dubbi filosofici e di coscienza.

Tutto scorre bene fino a un finale coerente con tutto il film, senza i soliti eccessi spettacolari a cui troppo spesso gli americani ci hanno abituati.
In un decennio '10 che (almeno negli Stati Uniti) è stato lontano dalla luce della celebrità per Allen, ma di buon livello artistico (con pellicole davvero memorabili come lo straordinario Midnight in Paris o Blue Jasmine), questo Irrational Man è davvero un ottimo picco positivo che purtroppo è celebrato meno di quanto meriterebbe.
Voto: 8,5

domenica 22 marzo 2020

6 Underground: cafonata galattica

Un insieme di situazioni assurde, con adrenalina sprecata in nome di un soggetto completamente inesistente. Una cafonata totale.


Perché il termine "americanata" resta sempre attuale? Perché solo gli americani possono continuare a produrre pacchinate di questo genere.
Già gli action movie per definizione non sono certo dei film raffinatissimi, ma qui si esagera e c'è uno spreco di tecnica per produrre due ore di film rumoroso (tanto da diventare caciarone) e con situazioni inaccettabili se si ha un QI come minimo in doppia cifra (quindi verrebbe da dire che buona parte degli americani non avrà avuto questo problema).
Sono davvero tante le assurdità da accettare per farsi piacere un film del genere, che ha un soggetto completamente inesistente: semplicemente, ci si rimbalza da una parte all'altra della scena per mostrare un po' di caos.

Si inizia addirittura a Firenze (che però non è sempre Firenze, ma in alcuni scorci è Siena). Subito super slowmo in piazza con uno dei protagonisti preoccupati dal possibile investimento di una madre con neonato in braccio, mentre un'altra protagonista dietro è preoccupata per i cani. Bastano questi primi 20 minuti per capire insomma che si sta vedendo (citando addirittura Christian De Sica) una enorme cafonata, anche perché intanto nei sedili posteriori dell'auto vistosissima (e anche questa pacchiana) che sfreccia a velocità spropositata si esegue un intervento chirurgico della massima precisione, con tanto di occhio intero che schizza e finisce sotto il pedale dell'acceleratore. Seriamente.

Più avanti una perfetta visione americana di geopolitica: per risolvere i problemi di una Nazione basta sostituire un dittatore cattivissimo (il solito cuore di pietra che si diverte a bullizzare i connazionali) con il fratello buono. Fantastico. Fratello buono che peraltro soffre di vertigini e visto che dopo l'ennesima scena caciarona (ad altezze improbabili, in quella parte di film tutto succede in vetta a costruzioni di centinaia di metri di altezza) bisogna saltare su un elicottero, uno dei nostri eroi decide di prendere a cazzotti questo ominide così da fargli perdere coscienza.

C'è una continua serie di assurdità improbabili, come un omicidio con pallottola che entra dall'occhio magico della porta e si infila dritta in testa al tizio che era andato a vedere chi era a suonare.

Uno del gruppetto di eroi viene lasciato per strada mentre gli altri scappano via in auto. Che fare? Andarlo a riprendere o andare via? L'indecisione porta due protagonisti a puntare la pistola in testa all'autista, il quale frena urlando "me l'ha puntata prima lui!".

E così quando al nemico viene citata una serie tv, senza che questo colga la citazione, lo si insulta a suon di "millenial del cazzo".

Tutto così, gratuito, grossolano, insensato.
Insomma, una vaccata midiciale.

Questo pare essere pure il primo capitolo di un franchise: e sicuramente io guarderò anche tutti i seguiti di questa porcheria, per amore del trash. Perché viene da chiedermi fino a che punto arriveranno con questa roba.