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mercoledì 20 febbraio 2019

Il nuovo triello di Clint: contro internet e lesbiche!



Una cosa non si può negare al mondo del web e dei critici cinematografici: la capacità di vedere messaggi occulti in tutto. Anche in Achille Lauro e la sua tremenda Rolls Royce.

Allora, perché non vedere messaggi occulti anche in un film come "Il Corriere - The Mule", possibilmente ultima apparizione da attore di una leggenda come Clint Eastwood, peraltro sorprendentemente in forma a discapito dell'età avanzata. Il vecchio Clint sa ancora reggere lo schermo, ma il film? Analizziamo alcuni particolari.

Senza farsi di LSD e viaggiare di fantasia per vedere in un film qualcosa che non esiste, il disastro della sceneggiatura (di Nick Schenk, uno che non scrive nemmeno così tanto ma evidentemente in questo caso non aveva voglia di fare nulla e ha lasciato a Eastwood una sceneggiatura che trasuda svogliatezza) si vede subito dall'inizio, intanto nello spostare la fase temporale della storia reale di Leo Sharp dagli anni '80 a circa trent'anni dopo, senza evitare le trappole dell'incoerenza. Insomma, all'inizio vediamo come il fioraio (o orticultore per esser precisi) chiuda per pignoramento: a chi diamo la colpa? Boccata di qualunquismo da bar: "ha stato l'internette!!". Ma sì, alla grande! Quanti fiorai sono stati rovinati da internet, dalle nuove tecnologie, dalla gente che sta a guardare sempre lo smartphone (virus qualunquista che in una scena di colpo senza motivo colpisce anche Bradley Cooper, che però poi più avanti finisce per essere uno di quelli con gli occhi fissi sullo smartphone)? Loro e i beccamorti sono in effetti i mestieri più devastati da internet, con i panettieri e gli operatori ecologici appena più indietro.

Da qui il fast forward sul tema tecnologico è d'obbligo, perché dopo che il film (ripeto, ambientato in età attuale, non negli anni '80 come la storia reale) si sciacqua continuamente la bocca contro le nuove tecnologie con stoccate profonde quanto quelle del babbione alcolizzato che trovi al bar sotto casa, di colpo la sceneggiatura si dimentica che queste esistono e regala un'assurdità epica. I super-cattivissimi del cartello messicano, quelli tostissimi capaci di uccidere il loro boss a sangue freddo, gente dalla crudeltà infinita con cui non puoi certo scherzare, cosa fanno? Lasciano 300 e passa chilogrammi di cocaina per l'ammontare di 12 milioni di dollari a un 90enne senza nemmeno sforzarsi a mettere un GPS da due soldi nell'auto di costui e tracciarne continuamente la posizione? Ma come?! Che cattivi sono, ma neanche nei film di Franco e Ciccio esistevano cattivi così acefali! Davvero bisognerebbe credere a una baggianata simile? Davvero si considera così stupido lo spettatore che deve accettare a occhi chiusi una scemenza del genere? Posso capire che a un regista che va per la novantina non possa venire in mente questo particolare, ma chi ha scritto questo film non può avere una lacuna simile, è dilettantesco.
Baggianate del genere portano a un colpo fenomenale: riescono a rendere per nulla realistica quella che sarebbe una storia vera. Capolavoro!

Insomma, la sceneggiatura sembra abbozzata alla bell'e meglio, un po' come avrebbero fatto i meravigliosi Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo e Andrea Sartoretti quando interpretavano gli sceneggiatori nella serie tv Boris. E dopo un'ora di solito tran tran, con una decina di viaggi da punto A a punto B tutti uguali, per scappare dalla monotonia si arriva anche a cinque minuti di altissimo cinema stile vanziniano (omaggio occulto?) nella villa di Andy Garcia, come se lo sceneggiatore avesse iniziato a riflettere tra sé e sé realizzando che qua serviva un colpo di coda, serviva qualcosa. Come fece Aprea in Boris: cosa possiamo far fare a Eastwood, è già un'ora che fa gli stessi viaggi noiosi. "Ragazzi, ho un'idea! Facciamolo scopare, così de botto, senza senso!" GENIO!

I messaggi, il politicamente scorretto nel film? Magari ci fossero. A meno che vi basti un epiteto razzista a un nero o un fantasioso "prego lesbiche" (sala in visibilio a questa battuta, neanche fosse la barzelletta più divertente del mondo dei Monty Python). Anzi, a qualcuno questo esaltante "prego lesbiche" è bastato per vedere un attacco nientemeno che al femminismo alla Thelma & Louise! A parte che son passati quasi trent'anni dal film Thelma & Louise, Eastwood ha fatto decine di film nel frattempo e ci penserebbe ora a mandare questa frecciatina, che vive a scoppio ritardato o ha una differita degna dello streaming di Dazn? La verità è che nemmeno nell'anticamera del cervello è passata al regista una cosa simile, è unicamente un tentativo flebile di rendere spregevole il personaggio di Earl Stone, tentativo peraltro anche questo abbozzato malamente.
I presunti messaggi? Ok, li vedete pure nei testi dei trapper, perché non inventarseli anche in un film di (presunto) livello superiore? Il guaio è proprio questo, che (indipendentemente dall'essere d'accordo o meno alle visioni politiche note di Eastwood) il film è talmente piatto che non ha nessun messaggio dentro, è una storia raccontata male, ci vuole davvero una fantasia enorme per vederci qualcosa. O ci vuole la malafede nel voler estorcere un film a proprio piacimento per vederci dentro quei messaggi desiderati dalla propria mente (come appunto quella sparata su Thelma & Louise, non a caso tirata fuori da uno che nel proprio lessico usa il fastidiosissimo termine "buonista").

Altra delusione nella colonna sonora: nella ripetitività dei viaggi di Eastwood, leggendo delle tante canzoni canticchiate, mi sarei aspettato di trovare qualche chicca country da andare a cercare una volta tornato a casa, invece non si va oltre alle solite "I've Been Everywhere" o "On The Road Again". Insomma, avrei potuto farla benissimo io la colonna sonora a questo film. Peccato solo che Clint non abbia messo una canzone italiana ogni tre canticchiate, sarebbe stato divertente vederlo intonare "Nostalgia nostalgia canaglia, che ti prende proprio quando non vuoi".

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