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giovedì 21 novembre 2019

Cetto c'è, senzadubbiamente: Albanese c'è, la sceneggiatura no

Cetto Laqualunque funziona ancora e Albanese riesce a creare qualche momento divertente, ma il film è annacquato da una sceneggiatura troppo spenta e per nulla creativa.

Dopo un primo capitolo capace di essere ancora adesso divertente (pur nei suoi difetti di fluidità) per l'introduzione al cinema di un personaggio sfavillante come Cetto Laqualunque, ma anche dopo un secondo capitolo riuscito piuttosto male e dimenticabilissimo, Antonio Albanese e Giulio Manfredonia (più il primo che il secondo) ci riprovano cambiando un po' il mirino per gli sviluppi sempre più biechi dell'attualità italiana: basta questo per fare un buon film?
Ovviamente no, serve (specialmente al terzo atto) una sceneggiatura forte, capace di far male sui temi attuali interni o perlomeno capace di creare un clima surreale insolito. Purtroppo tutto questo in "Cetto c'è, senzadubbiamente" non c'è proprio (senzadubbiamente). I riferimenti che qualcuno poteva aspettare sulla corrente becero-sovranista sono minimi (sempre se ci sono), quindi in realtà la satira viene tagliata fuori in partenza, così come la componente grottesca è poco viva. Di fatto, il film segue logiche da commedia vista e stravista, tanto che buona parte degli spettatori con una non eccelsa esperienza cinematografica può capire fin da subito dove il film vuole più o meno andare a parare nella sua storia, troppo lineare e troppo prevedibile. Tutto ciò impedisce la caratterizzazione dei personaggi di contorno a quello che (ovviamente) è il grande protagonista, cosa che invece in Qualunquemente era un po' più presente: il figlio di Cetto sembra il luogo comune del giovane attuale e non ha carattere, l'ex moglie di Cetto purtroppo di vede solo un paio di volte (ed è l'unico personaggio capace in sé di regalare delle risate nella sua sfuriata contro l'ex marito), la nuova moglie è un corpo e poco più, l'onnipresente Pino sorprende solo quando cita Giulio Cesare ma per il resto nulla aggiunge.

Il film è quindi troppo sulle spalle di Antonio Albanese, che pure è debordante e non a caso riesce a regalare i momenti più divertenti quando riesce a liberarsi da un contorto troppo lineare e a garantire le stravaganze tipiche del personaggio di Cetto: la sceneggiatura infatti non regala poi momenti così divertenti, quindi tutte le risate sono dovute all'estro di Albanese. Devastante alla cena con i nobili (sorpreso di quanta gente ci sia che non faccia nulla nelle proprie giornate), trascinante quando al matrimonio canta il ritornello dell'assurdissima Il Vero Amore, inno al meretricio che sembra calzare fin troppo bene al carattere di troppi uomini che si ricordano di avere gli attributi solo durante l'atto sessuale ("Il vero amore è solo a pagamento, se pagherai in contanti ti sentirai contento, il vero amore non cede al sentimento, la paghi la saluti e non c'è sfracanamento").

Per cui si ride sì, perché il talento comico (e anche attoriale, Cetto non è solo volgarità spiazzanti ma anche espressioni strafottenti interpretate perfettamente da questo grande attore) di Antonio Albanese resta eccelso, ma purtroppo resta superiore agli stessi film che interpreta. Il personaggio funziona ancora, perché purtroppo l'odiernità italiana lo rende fin troppo attuale (basta appunto spostare un minimo il mirino), ma allo stesso tempo non può ottenere un voto superiore alla sufficienza perché alle spalle del protagonista si vede troppo poco. Ed è un vero peccato, senzadubbiamente.

E poi, mi chiedo: solo io avrei voluto vedere cosa avrebbe fatto Cetto Laqualunque da re?

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