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sabato 4 gennaio 2020

The Irishman: il crepuscolo dei gangster

Con un retrogusto un po' amaro (soprattutto nel finale), Scorsese ci regala il testamento personale al genere del gangster movie e lo fa dirigendo con maestria tre mostri sacri come Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, tutti e tre grandi protagonisti.

E' vero che i libri non vanno mai giudicati dalla copertina, ma quando vedo che un mostro sacro come Martin Scorsese si riappropria del "suo" genere (il gangster-movie) e nel farlo porta sullo schermo un trio come Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, la sensazione di poter assistere a un film di livello c'è tutta. E bastano 25 minuti per ritrovarsi del tutto appassionati al film, a essere completamente presi dal racconto e dai ricordi di Frank Sheeran.

E' ovviamente un film fatto dagli attori, in primis dal quasi onnipresente Robert De Niro: lo abbiamo visto negli ultimi anni in film assolutamente inadeguati alla sua storia e al suo talento (due su tutti, Nonno Scatenato e Last Vegas), ma basta affidargli un ruolo di un certo calibro per ritrovare il solito immenso e inarrivabile De Niro. Sia scalfito dai segni dell'età, che ringiovanito digitalmente nelle fasi che richiedevano un Frank Sheeran nel pieno dell'età, ritroviamo le solite espressioni facciali a cui un po' tutti siamo affezionati e una bravura che non si annacqua col tempo. Robert è stato ed è ancora (speriamo lo sia a lungo in film di livello) un attore sensazionale, un talento unico ed è davvero bello ritrovarcelo così in palla.
Così come è bello vederlo finalmente a lungo duettare con un altro mito assoluto come Al Pacino, che "entra" nel film dopo una quarantina di minuti e lo fa con una forza dirompente, come un vulcano pronto a dominare la scena con la solita verve (anche qui l'età resta solo sulla carta d'identità, ma la forma è quella giusta) e anche con un pizzico di humor che rende ancora più affascinante il suo Jimmy Hoffa, devastante con le sue incavolature e la sua arroganza: aiutato da una sceneggiatura molto ben scritta, capace di affibbiargli dialoghi non banali (in particolare con De Niro), Pacino riesce un paio di volte a far sorridere nella fase centrale, soprattutto nella straordinaria scena delle "scuse" in Florida.
Davvero quando si è fuoriclasse nati, lo si è sempre indipendentemente dall'età in un campo come quello del cinema.

E che dire poi di Joe Pesci? L'età magari gli ha tolto quell'energia strabordante che lo ha reso grande nel pieno della carriera, ma anche lui appare assolutamente in palla e completamente convincente. In alcune fasi nell'edizione originale parla anche in italiano con De Niro (il quale dice che gli riconosceva un accento catanese: insomma, da siciliano dissento, ma erano dialoghi talmente intriganti che glielo si perdona comodamente) e in generale recita con una classe non dissolta negli anni del suo ritiro. Bello ritrovare anche lui sullo schermo, tanto da rimpiangere il fatto che Pesci non abbia voluto recitare quasi per nulla negli ultimi 20 anni (sostanzialmente da Arma Letale 4 in poi). Joe, goditi il pensionamento, ma quando ti arrivano sceneggiature adeguate continua a recitare perché sei ancora uno dei grandi del cinema!

Scorsese sa dirigere come pochi questo genere, ma lo fa in un modo sostanzialmente nuovo, con meno epicità e con un pizzico di riflessività e drammaticità in più. Per circa due ore e mezza il film ha un'intensità importante, mentre direi proprio sia voluta la scelta di affrontare la fase finale con toni molto più spenti, quasi a mio modo di vedere una scelta del regista di chiudere le proprie porte con il genere con un calando crepuscolare, per dirci che i protagonisti di questo genere non sono mai dei vincenti, sono uomini soli (in tal caso vedo molto importante il rapporto tra Frank Sheeran e la figlia) destinati a una fine da sconfitti, sia che questa arrivi per cause naturali che per mano di rivali o amici. E' una fase finale più spenta ma con una grande importanza filosofica, un retrogusto amaro che dà una profondità diversa al film.

C'è qualche difetto, la sceneggiatura ha un paio di fasi non azzeccate (un paio su una pellicola di quasi tre ore e mezza però) e digitalizzare per ringiovanire i protagonisti non nasconde qualche "impaccio" nei movimenti, ed è solo questo e un finale forse un po' troppo rallentato rispetto al ritmo del resto del film che mi spingono a non dare un punteggio più alto, ma The Irishman è ancora una volta cinema di qualità creato da dei grandi a cui un po' tutti noi dobbiamo tanto ed è una visione pienamente soddisfacente, accompagnato anche da una buona colonna sonora in sottofondo.

Voto: 8

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