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mercoledì 15 luglio 2020

Tutta la vita davanti: deriva radical chic

Ritratto del precariato giovanile sotto le lenti della visione radical chic, quindi completamente distorto. Virzì più che vittima del "vorrei ma non posso" resta vittima del "vorrei... ma non voglio davvero". E la morale definitiva è che chi si interessa dei diritti dei lavoratori fa solo danni a essi stessi: nulla di più sbagliato. 


Nonostante le buone prove generali degli attori (su tutti al solito un eccellente Valerio Mastandrea, ma notevole anche Sabrina Ferilli), un film del genere non può che lasciare grossa frustrazione a chi lo vede, per come è stato concepito a livello autoriale.
Il ritratto del precariato giovanile poteva essere importante e profondo, ma non incide a dovere, anzi rimane piuttosto sterile a causa di una sceneggiatura poco grintosa, che finisce per ritrarre in modo eccessivamente grottesco troppi personaggi e rende quasi surreale (ma senza la giusta ironia) una condizione serissima: davvero pessimo vedere il tentativo di metafora poco calzante che porta i lavoratori che non hanno inciso nel corso del mese a subire delle punizioni quasi fantozziane, un mezzuccio che non centra nessun obiettivo, non riesce a rendere spiritoso il film né lo rende realistico.

E' la scrittura a essere sbagliata in questo film, fin dall'inizio: nella prima mezz'ora infatti la sceneggiatura è talmente frammentaria che per unire le scene c'è bisogno di una fastidiosa e invadentissima voce fuori campo, mezzo che usato a modo può accompagnare bene un film ma che è solo urtante se serve a incollare le scene di un film che inizialmente è parecchio disunito.
La storia diventa più omogenea andando avanti, ma la sceneggiatura non sa essere efficace, ricorrendo a personaggi eccessivamente grotteschi (su tutti quelli di Elio Germano e Massimo Ghini, che da par loro salvano il salvabile ma che si trovano a impersonificare qualcosa scritta veramente male) per vivacizzare un film che non sa essere né satirico né di vera denuncia.
Virzì, come spesso gli capita (penso anche a Ferie d'agosto, dove la morale pseudo-politica finiva per essere facilotta e qualunquista), più che vittima del "vorrei ma non posso" finisce vittima del "vorrei ma... in realtà non voglio". Tanto che la morale finale è che chi si interessa dei diritti dei lavoratori fa solo danni a essi stessi: nulla di più sbagliato, ridicolo e osceno da portare come messaggio. In definitiva si ha un ritratto dei giovani senza realmente volerli capire, un film che sembra avere in sé una pesante incrostatura da radical chic, ovvero di coloro che pensano di sapere tutto ma che non si sono mai abbassati a vivere realmente quelle situazioni e finiscono per distorcerle malamente.

Aggiungiamoci nudità gratuite assortite e un pessimo finale e la frittata è completa.
Ancora una volta il cinema italiano odierno non sa raccontare in modo convincente la realtà, finendo per essere distorto nella sua visione perché incapace di immedersimarsi sul reale, come se gli autori italiani vivessero in una bolla estranea al contesto che vorrebbero riportare.

Voto: 2

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