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martedì 29 dicembre 2020

La mia banda suona il pop: un altro brizzisastro

Le belle musiche create da Zampini sono l'unica cosa da salvare di un film palesemente senza idee, tanto che la reunion della band deve sfociare in un banalissimo heist movie. Brizzi ancora insalvabile.


Quando si affretta la produzione di un film che parte da una idea stentata, i risultati sono quelli che si vedono ne "La mia banda suona il pop", in cui la ruffiana (ma con Brizzi la ruffianità è all'ordine del giorno) reunion di una finta band anni '80 ha talmente il fiato corto che il film sfocia in un banalissimo e noiosissimo heist movie che affonda miseramente.
Si vede subito che il progetto è abbozzato, con dei dialoghi miseri e la speranza che i volti dei protagonisti bastino a creare un interesse o un sorriso: il problema è che gli stessi protagonisti sono i primi a non crederci e sono palesemente fuori forma, basti vedere Abatantuono (con inguardabili occhi azzurri) tirarsi via stancamente dall'inizio alla fine.
Non che gli altri membri della band facciano meglio, con la Finocchiaro a cui viene appiccicato il solito personaggio palesemente e schifosamente sessista tipico degli script di Brizzi: ancora nel 2020 la donna nei film italiani serve solo per battute terribili (almeno fossero buone le battute!) sulla sua promiscuità... Alternate soltanto alle battute sul suo alcolismo. Insomma, nel film di Brizzi la donna serve solo per subire passivamente.
Ghini appare decisamente impacciato e si sveglia soltanto in un paio di duetti di coppia con De Sica, che dal canto suo conferma la forma scadente vista in Poveri ma ricchi e ricchissimi, con tanto di parrucca improbabile anche qui, finendo per straparlare e per tentare la solita strada della trivialità fine a sé stessa: qui, a differenza di altri film, non ha un Boldi a rovinargli le battute, il problema è proprio che script e regia sono talmente privi di tempi comici che nemmeno l'istintiva volgarità romanaccia può portare al sorriso.
La cosa più triste però è vedere le condizioni terrificanti di Paolo Rossi, davvero l'ombra assoluta di sé stesso e capace soltanto di biascicare le parole per tutta la durata del film.
 
La parte del furto non merita nemmeno un commento da quanto è poco degna di nota, mentre da salvare assolutamente nel film è la colonna sonora con le canzoni poppeggianti scritte ad hoc da Bruno Zampini che sono simpatiche e orecchiabili.
Non bastano però ad alzare il voto del film.

Che non può che essere un: 1

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